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30/11/2018

OLIO DI PALMA SOSTENIBILE: NE PARLIAMO CON RSPO

 

Dal 12 al 15 novembre scorso si è svolta la 16° edizione della Tavola Rotonda annuale di RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) in Malesia. Per l’occasione abbiamo raggiunto Francesca Morgante, Market Development Manager per l’Europa di RSPO, recentemente entrata a far parte del team, che ha risposto alle nostre domande per spiegare l’importanza della certificazione di sostenibilità per l’olio di palma.

 

Dott.ssa Morgante, il tema della produzione sostenibile dell’olio di Palma è al centro della battaglia di tante ONG, aziende e realtà proprio come l’Unione per l’Olio di Palma Sostenibile. Può aiutarci meglio a capire cos’è RSPO – che lei rappresenta – cosa si intende per “certificazione della produzione sostenibile”, e che ruolo ha RSPO in questo processo di certificazione?

La RSPO è un’associazione multistakeholder, che raccoglie oltre 4.000 membri a livello mondiale legati alla filiera della coltivazione di olio di palma, divisi in sette gruppi: coltivatori, raffinatori, industria manifatturiera, distributori, banche e investitori, organizzazioni non governative ambientali e sociali.

L’obiettivo è creare e implementare standard globali per la produzione e l’uso di olio di palma certificato sostenibile. Attraverso la certificazione RSPO, miriamo a rendere compatibile la coltivazione massiva di palma da olio con la salvaguardia dell’ambiente. Per fare ciò, dobbiamo tenere conto delle peculiarità della coltura, che cresce in zone tropicali e subtropicali, aree dove sussistono foreste primarie, con habitat caratterizzati dalla presenza di elevati livelli di biodiversità, creando le condizioni per una produzione sostenibile.

Per fare ciò abbiamo stabilito una serie di regole a cui i nostri membri devono attenersi: tra queste, il rispetto delle leggi, delle popolazioni indigene e dei lavoratori, divieto di nuove piantagioni in aree di foresta primaria o di particolare valore ecologico e sociale e impegno alla trasparenza e al continuo miglioramento.

Quindi, per poter aderire a RSPO bisogna rispettare una serie di regole. Com’è cambiata la filiera produttiva dell’olio di palma da quando siete operativi? Qual è stato il punto di partenza e quali gli obiettivi raggiunti in questi anni?

La RSPO è nata nel 2004, mentre le prime vendite di olio di palma certificato sostenibile sono effettivamente iniziate nel 2009. Da allora, molto è stato fatto per coinvolgere produttori – grandi e piccoli – sull’importanza della certificazione di sostenibilità, anche in chiave di accesso ai mercati internazionali. Ad oggi, il 19% della produzione globale di olio di palma è certificata sostenibile, per un totale di 13,2 milioni di tonnellate e una superficie coltivata di 3,61 milioni di ettari.

Dal 2004 ad oggi, il tasso di deforestazione è rallentato, anche grazie all’istituzione delle aree ad alto valore di conservazione all’interno delle piantagioni di olio di palma certificate sostenibili RSPO, che hanno permesso di salvaguardare più di 263.000 ettari di terra, per un’area equivalente a 350.000 campi di calcio.

Rispetto al percorso positivo che avete intrapreso in questi anni, cosa pensa si possa ulteriormente fare per migliorare il processo di certificazione? Su quali ambiti state concentrando gli sforzi?

Dopo anni di lavoro, sono stati adottati, durante l’annuale Tavola Rotonda, i nuovi standard di certificazione di sostenibilità RSPO per garantire una migliore protezione dell’ambiente, sviluppo sociale ed economico lungo tutta la catena di approvvigionamento dell’olio di palma sostenibile. Tra le misure approvate troviamo criteri avanzati per lo stop alla deforestazione, la protezione delle torbiere, la salvaguardia dei diritti umani e dei lavoratori, insieme allo sviluppo di un nuovo standard specifico per i piccoli produttori (uno degli obiettivi principali di RSPO).  Grazie alla certificazione, gli smallholder possono infatti accedere più facilmente ai mercati internazionali, e vendere il proprio prodotto a un prezzo superiore rispetto alla produzione convenzionale.

Il nuovo standard di certificazione RSPO entrerà in vigore immediatamente e sarà valido per i prossimi 5 anni, con i membri che potranno contare su un periodo di 12 mesi entro cui implementare i cambiamenti richiesti.

Sappiamo che tra i membri di RSPO non ci sono solo aziende, ma anche delle ONG ambientaliste. Qual è il loro ruolo all’interno di RSPO?

In un’associazione multistakeholder e che opera secondo logiche di consenso, come la RSPO, il ruolo delle Associazioni ambientaliste è particolarmente importante. Secondo la nostra governance, infatti, nessuna decisione può essere presa finché i rappresentanti di tutti i sette gruppi di stakeholder non raggiungono un accordo in merito. Inoltre, vorrei ricordare che tra i fondatori di RSPO nel 2004 vi è anche WWF, che ha sempre lavorato a livello internazionale per rendere l’olio di palma certificato sostenibile una realtà consolidata.

Cosa accade quando uno dei membri viola gli accordi presi con RSPO?

Quando uno stakeholder – un’associazione ambientalista o per la promozione dei diritti sociali, ad esempio – segnala una possibile violazione dei Principi & Criteri di RSPO, viene aperta una procedura di complaint, procedura i cui documenti sono pubblicamente accessibili e consultabili sul sito di RSPO, in un’ottica di massima trasparenza. A seguire partono gli accertamenti da parte di RSPO, dandone comunicazione ai interessati e valutando se intimare uno stop ai lavori per i casi più gravi. Al termine degli accertamenti, condotti da terze parti indipendenti, RSPO valuta le sanzioni da applicare, che possono arrivare fino alla revoca della certificazione.

 

FOCUS ITALIA: SE VOGLIAMO VERAMENTE AGIRE IN NOME DELL’AMBIENTE, DOBBIAMO PREFERIRE PRODOTTI CHE CONTENGONO OLIO DI PALMA CERTIFICATO SOSTENIBILE

 

Dott.ssa Morgante, come si comportano le aziende italiane in merito all’olio di palma sostenibile? Che tipo di attenzione c’è su questo tema?

Le aziende italiane negli anni si sono dimostrate particolarmente sensibili ai temi della sostenibilità. Purtroppo, presso l’opinione pubblica italiana il tema della sostenibilità nella nostra filiera è stato messo in secondo piano rispetto al tema nutrizionale. Recentemente notiamo che i temi legati alla sostenibilità ambientale e sociale della coltura sono tornati ad essere protagonisti. La coltivazione sostenibile di palma da olio è già una realtà consolidata, che funziona, e che aiuta le economie emergenti del Sudest Asiatico a crescere salvaguardando le foreste primarie e la biodiversità. Per questo, rilanciamo il nostro obiettivo 100% olio di palma certificato sostenibile entro il 2020, un obiettivo ambizioso che permetterebbe all’Europa di assumere un ruolo importante di guida del mercato, innescando un effetto domino che porterebbe quote sempre maggiori di olio di palma certificato sostenibile. Dobbiamo andare oltre il settore food, e abbracciare nuovi mercati, come ad esempio quelli relativi alla cosmetica e ai mangimi animali.

Uno dei messaggi che lanciamo spesso è relativo al ruolo dei consumatori che dovrebbero invitare i loro marchi di riferimento a utilizzare solo olio di palma certificato. Oggi, quale ritiene sia il ruolo dei consumatori in merito all’olio di palma certificato sostenibile? Le aziende più attente alla sostenibilità sono “ricompensate” dal consumatore?

Ad oggi, circa il 50% dei prodotti che troviamo nei supermercati contiene olio di palma o suoi derivati, per cui parlare di sostituzione tout-court è un’opzione che non ha molto senso, soprattutto se non ci si chiede quali sono gli impatti ambientali e sociali legati ai possibili sostituti. Per cui, se vogliamo veramente agire in nome dell’ambiente, dobbiamo preferire prodotti che contengono olio di palma certificato sostenibile. Il nostro ruolo è proprio questo: far sì che l’utilizzo di olio di palma certificato sostenibile sia riconosciuto come un plus per i consumatori, italiani e di tutto il mondo.

In questi anni abbiamo visto il diffondersi di tante informazioni “negative” sull’impatto ambientale dell’olio di palma, soprattutto con le ultime vicende che hanno preso piede tra i media italiani. Eppure i numeri e le ricerche, come il più recente rapporto IUCN, mostrano che questo olio ha un impatto sull’ambiente minore di altri. Cosa possiamo dire ai consumatori per rassicurarli?

Bisogna capire innanzitutto che le dinamiche della deforestazione sono strettamente legate a quelle dello sviluppo. Quello che avviene oggi nel Sud Est Asiatico, è avvenuto molti anni fa in Europa. Questo non vuol dire che sia giusto ripetere gli stessi errori. Mentre la coltivazione convenzionale ha senza dubbio causato la deforestazione di ampie aree del Sudest Asiatico e contribuito a una progressiva perdita di biodiversità – l’opzione sostenibile è senza ombra di dubbio quella che consente di soddisfare i bisogni crescenti di grassi vegetali con il minor quantitativo di terra, con rendimenti da 4 a 10 volte superiori rispetto a colture come soia, mais, colza, oliva e girasole.

Inoltre, mentre analoghe iniziative di certificazione di sostenibilità sulle altre colture sono ancora agli albori, il palma può già contare su un sistema solido, credibile, e che funziona.

 

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