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05/03/2018

QUELLO CHE GLI STUDI DICONO SULL’OLIO DI PALMA

 

La strumentalizzazione di studi scientifici e ricerche di mercato non aiuta i consumatori a fare scelte consapevoli

Gli economisti la chiamano “fake transparency” o “falsa trasparenza”. E’ il fenomeno per il quale si dà un’informazione che non è falsa, ma fuorviante. Una tendenza che può essere preoccupante e che rischia di confondere il consumatore, come evidenziato in un articolo pubblicato da The Conversation. Un esempio di “fake transparency”? L’acqua priva di OGM o la frutta senza glutine. Parliamo di due prodotti che già alla “nascita” non contengono OGM o glutine, ma per i quali questa “qualità” viene evidenziata in etichetta, col rischio di fuorviare – appunto – il consumatore.

Già alcuni mesi fa uno studio, con un focus su alimenti con e senza olio di palma, aveva dimostrato come i prodotti contenenti olio di palma avessero spesso un profilo nutrizionale analogo – se non migliore – rispetto a quelli senza questo ingrediente, nonostante le confezioni di questi ultimi evidenziassero l’assenza di olio di palma come un vantaggio. Insomma, mentre alcune etichette forniscono dettagli utili su informazioni non facilmente rilevabili, altre contengono affermazioni inutili e, a volte, ingannevoli che fanno leva sulla percezione di una migliore qualità del prodotto.

 

LO STUDIO EUROPEO

Ad analizzare in modo più scientifico quale sia la percezione dei consumatori di fronte alle etichette “senza” che ormai imperversano sugli scaffali dei supermercati ci ha pensato lo studio “European Consumer Healthiness Evaluation of ‘Free-from’ Labelled Food Products” pubblicato sulla rivista Food Quality and Preference[1]. Lo studio valuta le risposte di oltre 2000 persone per esaminare l’atteggiamento dei consumatori europei (Regno Unito, Francia, Svizzera e Polonia) nei confronti delle etichette “senza” e la conseguente propensione a pagare di più per questo tipo di prodotti. In particolare, lo studio ha analizzato la percezione dei consumatori davanti alle etichette: “senza glutine”, “senza lattosio”, “senza olio di palma” e “senza OGM”.

Alcuni commentatori si sono subito affrettati a riportare semplicemente il fatto che i consumatori europei in genere prediligono i prodotti senza olio di palma perché li percepiscono come più salubri

Quello che nessuno ha messo in evidenza, ma che si evince chiaramente da una lettura più attenta dello studio, che vada oltre il titolo ed il sottotitolo, e soprattutto oltre quello che si spera di leggere per supportare le proprie tesi, è che tale giudizio in realtà è spesso un pre-giudizio, che non si tratta di scelte informate ma di percezioni negative che rispondono al paradigma: “senza” è sicuramente meglio, a prescindere.

I consumatori, insomma, preferiscono i prodotti “senza” di default, perché considerati più sani rispetto a quelli privi di tale dicitura, anche se non approfondiranno mai il perché, semplicemente perché ripongono la loro fiducia nelle dichiarazioni del produttore.

 

SENZA OLIO DI PALMA – Altre cose che i commentatori hanno dimenticato di riportare:

Sono apparsi titoli dai toni trionfalistici che sottolineano l’impennata della domanda di prodotti senza olio di palma da parte dei consumatori europei.

Peccato che leggendo meglio lo studio si scoprirebbe che:

  • La maggior parte delle persone che hanno risposto al sondaggio non conosceva il claim “senza olio di palma”. A parte una piccola percentuale dei francesi.
  • A dimostrazione del fatto che in realtà i consumatori non hanno le idee molto chiare, e comunque non cosi omologate come si vuol far credere: l’11% dei Polacchi lo percepisce come salutare, e in Svezia, Polonia e Regno Unito c’è chi al tanto demonizzato olio di palma associa semplicemente qualcosa di esotico.
  • Circa il 30% le persone di Francia e Polonia non hanno risposto affatto o che hanno risposto “non saprei”. In Svezia e nel Regno Unito la percentuale aumenta fino al 55%

 

Inoltre i commentatori hanno dimenticato di leggere le conclusioni dello studio, che per completezza di informazione e dovere di cronaca riassumiamo:

  • In generale, i prodotti “senza” sono percepiti come più salutari rispetto ai prodotti che non presentano la scritta in etichetta.
  • Nel complesso, i consumatori conoscono poco l’“olio di palma”
  • Questo dimostra che le etichette “senza” sembrano essere generalmente fonte di confusione per i consumatori e che è necessaria una campagna di educazione sulle etichette “senza” per i consumatori
  • Bisogna comunque avere un approccio prudente in quanto se le aspettative del consumatore, che nell’acquistare un prodotto “senza” si aspetta un prodotto più salutare, dovessero essere disattese, questa situazione potrebbe portare a una sfiducia nei confronti dell’industria.

 

 

COSA CI DICE IN REALTA’ QUESTO STUDIO?

Che una percentuale non indifferente dei consumatori trovando sullo scaffale un prodotto “senza olio di palma” lo acquisterebbe senza farsi troppe domande. Ci dice anche che i consumatori arrivano pieni di preconcetti perché bombardati dalla pubblicità e dalle campagne denigratorie.

In conclusione, si conferma la nostra tesi:

I claim “senza” possono confondere i consumatori e che è necessario limitarne il ricorso ai casi giustificati e avviare campagne di educazione per assicurarsi che vengano correttamente interpretate.

Aggiungiamo che le evidenze di questo studio suggeriscono anche quanto l’influenza delle campagne mediatiche sia determinante e pericolosa, perché i consumatori rischiano di compiere scelte non consapevoli e di orientarsi verso prodotti alimentari non sempre in linea con le proprie esigenze nutrizionali.

Ecco quindi che una campagna contro la “fake transparency” appare necessaria, proprio per tutelare il consumatore nelle sue scelte. E l’emendamento recentemente approvato dalla Commissione Affari Economici e Monetari del Parlamento Europeo va letto come un segnale che occorre mettere ordine alla giungla dei “senza”.

 

L’OSSERVATORIO IMMAGINO NIELSEN GS1

Nonostante l’Italia non sia stato oggetto dello studio citato, anche nel nostro Paese, la sensibilità del pubblico al fascino del “senza” sta diventando sempre più evidente.

A confermare questa nuova moda arriva l’Osservatorio Immagino Nielsen GS1[2], oggetto di numerosi articoli su stampa specializzata e non.

Guarda caso, la referenza “senza olio di palma” avrebbe registrato un +17,6% nelle vendite in valore. I soliti commentatori omettono di riferire che lo stesso rapporto precisa che tali referenze sono molto sostenute dall’offerta – che ha conquistato diverse categorie di prodotti – e dalla promozione.

Uno scenario in linea con quanto già dichiarato nell’edizione precedente[3] in cui si leggeva che: “Il tam-tam mediatico che ha riguardato questo prodotto (l’olio di palma, ndr.), il dibattito tra chi lo accusa e chi lo difende, le prese di posizioni e le controprese di posizione, l’hanno fatto diventare il componente più eliminato dai prodotti alimentari. In 12 mesi le vendite di prodotti senza olio di palma sono aumentate del 13,5% arrivando a una quota complessiva del 5,7%. E così superando, anche se di poco, il valore delle vendite dei prodotti senza coloranti”.

Questa è la dimostrazione che si è inoltre creato un grave effetto distorsivo della concorrenza basato su informazioni rivelatesi in gran parte fuorvianti, di cui dovrebbe occuparsi anche l’Autorità Garante.

I prodotti senza olio di palma rappresentano oggi lo specchietto per le allodole, il prodotto “civetta” che gratifica e rassicura il consumatore, che si trova al centro di una guerra commerciale a chi urla il “senza olio di palma” più forte per rosicchiare quote di mercato all’altro.
 

[1] Studio realizzato da Christina Hartmann (ETH Zurich), Sophie Hieke (European Food Information Council), Camille Taper (European Food Information Council) e Michael Siegrist (ETH Zurich)

[2] Pag. 26

[3] Pag. 37