Interviste

28/05/2016

Adesso vi spiego perché se ne parla tanto – Prof. Carlo Alberto Pratesi

Ultimamente si parla spesso di olio di palma e dell’impatto che la coltivazione di questo ingrediente ha nei Paesi subequatoriali che lo producono.

 

Ne abbiamo parlato con Carlo Alberto Pratesi, Professore di Economia e Gestione delle Imprese al Dipartimento di Studi Aziendali dell’Università Roma Tre.

 

Professor Pratesi, secondo lei perché l’olio di palma è al centro di un dibattito internazionale legato al suo consumo?

L’olio di palma è oggi l’olio vegetale più utilizzato al mondo: rappresenta infatti ben il 60% del totale export di questo settore. Parliamo quindi di una fetta di mercato molto interessante e, di conseguenza, di un giro d’affari che fa gola a molti. Del resto basta leggere il libro “L’olio giusto” (Giunti) di Rita Fatiguso e Jose Galvez per scoprire che dietro agli attacchi nei confronti dell’olio di palma ci sono state prima, negli anni Ottanta in America la lobby dell’olio di soia, e poi, più recentemente in Francia, quella dell’olio di colza… Non è una novità che situazioni del genere portino ad attività di lobby e comunicazione per contendersi quote percentuali di mercato. Sono, infatti, in gioco forti interessi commerciali, legati a un business già oggi rilevante e destinato a crescere ulteriormente nell’arco del prossimo decennio.

 

Ma il successo di questo olio vegetale non è anche una minaccia per l’ecosistema globale?

Certamente sì. Come ogni attività produttiva anche questa ha un impatto. E se, come sappiamo, l’olio di palma sarà sempre più richiesto dall’industria, occorre che tutti gli attori della filiera si impegnino a migliorarne la sostenibilità per garantire la biodiversità degli ecosistemi e il rispetto per l’ambiente. La via giusta non è il boicottaggio, che favorirebbe inevitabilmente altre produzioni spesso meno sostenibili, ma è quella della certificazione. E questa, tra l’altro, è anche la posizione di WWF International, che invita i consumatori a non boicottare l’olio del frutto di palma, ma a chiedere ai propri marchi di riferimento di approvvigionarsi solo con olio certificato sostenibile.

 

Cosa intende per olio di palma sostenibile?

Per olio di palma sostenibile si intende un olio che ha origini conosciute e quindi tracciabili; che è stato prodotto senza convertire foreste e nel rispetto degli ecosistemi ad alto valore di conservazione; con pratiche colturali rispettose delle foreste ad alto valore di carbonio; con pratiche agricole atte a preservare le torbiere; non proveniente dalla conversione in piantagioni di aree sottoposte ad incendi volontari; che protegge i diritti dei lavoratori, popolazioni e comunità locali, rispettando il principio del  consenso libero, preventivo e informato; che promuove lo sviluppo dei piccoli produttori indipendenti. Al riguardo esiste un sistema la certificazione RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil), associazione nata con l’obiettivo  di gestire le problematiche ambientali e sociali. Oggi RSPO è una associazione multi-stakeholder che raccoglie più di 2.400 membri tra produttori, aziende di beni di consumo, grande distribuzione e associazioni ambientaliste (www.rspo.org). Negli ultimi anni si è fortemente sviluppata l’esigenza di rendere ancora più stringenti le regole per minimizzare gli impatti della produzione dell’olio di palma.  In tale contesto, si inserisce ad esempio il Palm Oil Innovation Group (POIG), iniziativa che – partendo dai requisiti di RSPO – mira ad applicare criteri più stringenti a protezione delle foreste e delle comunità (http://poig.org/ ).

Il sistema delle certificazioni ambientali richiesto e promosso da Paesi come l’Italia e l’Europa, più in generale, sta contribuendo, nei Paesi produttori, alla diffusione di una cultura di rispetto dell’ambiente che non è sempre scontata…

 

Il tema della certificazione è controverso, non tutti sono concordi nel ritenerla la soluzione migliore…

Discutere su come migliorare i sistemi di certificazione esistenti è giusto e, aggiungerei, indispensabile, ma metterne in dubbio il principio di base è un grave errore. Oltretutto, rinunciare a spingere per la produzione di olio di palma all’interno di filiere controllate e certificate vorrebbe dire rendere più competitive le produzioni di Paesi meno attenti all’ambiente, col rischio concreto di andare a vanificare quanto di buono fin qui fatto.

 

Quindi, tornando al boicottaggio, ci conferma che lei è contrario?

Io ritengo che boicottare tout court i prodotti contenenti olio di palma, come sostengono alcuni detrattori di questo ingrediente, non rappresenti un’alternativa valida, poiché comporterebbe soltanto il ricorso a uno degli altri oli vegetali in commercio, col rischio di creare problemi ambientali analoghi – e in molti casi maggiori, viste le rese per ettaro ridotte di tutti gli altri oli vegetali – in altre parti del mondo, incrementando la deforestazione e la perdita di biodiversità. Basta un dato: per produrre 3,47 tonnellate di olio di palma ci vuole un ettaro di terreno, una quantità 5 volte inferiore rispetto a quello necessario per la colza, 6 volte inferiore al girasole e ben 11 volte inferiore all’olio di oliva.