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30/08/2021

Meno coca e più olio di palma sostenibile in nome dello sviluppo economico: il “modello Colombia”

L’Ufficio Onu contro la droga e il crimine ha annunciato recentemente che la Colombia ha ridotto per il terzo anno consecutivo la superficie destinata alla coltivazione delle piante di coca. Si tratta di un taglio del 7% sui 154mila ettari coltivati a coca nel 2019, per arrivare ai 143mila nel 2020. Per quanto abbia trovato poco risalto sui media internazionali, si tratta di una notizia importante sotto diversi aspetti. Innanzitutto, questi dati – evidenziando l’ulteriore colpo subito dalla criminalità organizzata del traffico di stupefacenti – confermano l’impegno profuso dal governo di Bogotà. Questa virtuosa inversione di tendenza è anche un driver positivo in termini economici e occupazionali. Eradicare terre finora dedicate all’illecito, significa infatti far emergere risorse produttive da destinare ad altri ambiti. Regolarizzare la relativa forza lavoro vuol dire riconoscere un diritto, al lavoro appunto, alle popolazioni locali, con tutto quel che ne consegue in termini di salute, istruzione e stabilità sociale. A questo proposito, va ricordato che l’accordo di pace firmato a novembre 2016 tra il governo e le Farc comprende una riforma agraria, che a sua volta prevede la restituzione ai campesinos di 3 milioni di ettari di terra e la formalizzazione dei diritti di proprietà su altri 7 milioni di ettari.

Facile pensare, a questo punto, che le aree, una volta coltivate a coca, verranno destinate a produzioni alternative come il caffè e l’olio di palma. Di quest’ultimo la Colombia è ormai primo produttore latino-americano e quarto a livello mondiale. Degli 1,3 milioni di tonnellate di olio di palma prodotte nel 2020, più di un quarto vanta la certificazione di sostenibilità.  Si tratta di un risultato raggiunto grazie agli sforzi di Fedepalma e che mira alla realizzazione di ben cinque dei 17 Sdg dell’Onu: lotta alla povertà, lavoro dignitoso, consumo e produzioni responsabili, lotta al cambiamento climatico e vita sulla terra. Era colombiano il primo produttore – Daboon Group – ad aver ottenuto nel 2017 la certificazione RSPO Next, all’epoca lo standard di sostenibilità più rigoroso. Secondo i dati ufficiali, le esportazioni colombiane di olio di palma sono aumentate del 12,8% nel 2020, raggiungendo un fatturato di 460,1 milioni di dollari. I principali acquirenti di olio di palma in Colombia sono stati Paesi Bassi, Brasile, Spagna, Messico e Italia.

Il “modello Colombia” è esportabile, anche in quadranti lontani dal Sud America. Investire in filiere sostenibili vuol dire favorire un futuro di trasparenza economica, progresso sociale e stabilità politica. Tutto molto più pragmatico rispetto a seguire mode ideologiche.

Questa è anche la visione dell’Ambasciatrice della Colombia in Italia, S.E. Gloria Ramirez, che in occasione di un convegno dell’anno scorso, ha pronunciato un discorso molto eloquente, rivolgendo un appello al Governo italiano, chiedendo di intervenire per porre fine alle campagne di boicottaggio indiscriminato contro l’olio di palma.