News

05/06/2021

GIORNATA MONDIALE DELL’AMBIENTE 2021: SCEGLI OLIO DI PALMA SOSTENIBILE PER FERMARE, PREVENIRE E RIMEDIARE AL DEGRADO DEGLI ECOSISTEMI

Con l’approssimarsi della Giornata Mondiale dell’Ambiente, i media sono tornati a prendere di mira chi, nel paradigma binario del dibattito culturale, viene bollato come “cattivo” a vita, non importa quanti sforzi abbia compiuto e quanti progressi abbia messo a segno.

C’è un vizio di merito e di sostanza in questo approccio. Non si parla mai di tutti gli sforzi che i governi, il settore privato e la società civile stanno ormai da diversi anni facendo per rendere la filiera dell’olio di palma sempre più sostenibile e degli apprezzabili risultati raggiunti. Pensiamo ad esempio alle moratorie sulle foreste e sulle nuove concessioni. L’iniziativa dovrebbe essere riconosciuta come punto di svolta di quei governi, indonesiano per primo, che hanno posto uno stop alla deforestazione. È vero: la deforestazione in passato c’è stata, ma non è tutta attribuibile all’espansione delle piantagioni di palma da olio, e soprattutto ora è in fase di contenimento. Nel 2011 infatti, Jakarta impone una prima moratoria che vieta la distruzione delle foreste vergini. È l’anno immediatamente successivo a una recrudescenza del Niño – quella successiva e ben più pesante è del 2015 – che porta a un aumento delle temperature, soprattutto nella fascia equatoriale, e quindi a una maggiore esposizione delle foreste al rischio di incendi. Ed è proprio dall’esperienza di quegli anni, fatti di caldo infernale e di ecosistemi devastati dal fuoco che l’Indonesia decide di agire e rendere la moratoria permanente introducendo anche una moratoria sulle concessioni per nuove piantagioni. Se si osservano le rilevazioni di Global Forest Watch, balza agli occhi l’andamento pre e post moratoria. La deforestazione in Indonesia e Malesia è in calo da anni. Su tutto questo, però, i media purtroppo sono silenti. Vizio di merito, appunto. Non si va a fondo a leggere i dati quando si è mossi dal dogma dicotomico per cui buoni e belli stanno da un lato e i brutti e cattivi dall’altro.

Giornata Mondiale dell'Ambiente

Foresta pluviale in Papua, Indonesia. Il paese è una delle poche nazioni che hanno ridotto il tasso di deforestazione. Foto di Widodo Margotomo/Wikimedia Commons

A questo si aggiunge l’incapacità di osservare le cose nel loro insieme. Quello dell’olio di palma è certamente uno dei mercati con le più accentuate caratteristiche della globalizzazione. Utilizzo trasversale e trans-settoriale del prodotto e concentrazioni polarizzate tra domanda e offerta.

Al netto che siamo tutti d’accordo sul fatto che la deforestazione abbia lasciato delle cicatrici sulla terra che la natura potrà riassorbire solo in tempi lunghi, e che quindi ogni misura di prevenzione e riparazione vada incentivata, il problema sta nella volontà di individuare ed accettare soluzioni alternative al boicottaggio che siano davvero sostenibili in termini pragmatici. Ovvero in grado di fornire una risposta accettabile (sostenibile) per l’ambiente, per l’uomo e per lo sviluppo economico. Attaccare chi è ritenuto responsabile dei grandi mali del mondo –olio di palma, plastica, la carne di allevamento – è un gioco facile. Ma non risolve il problema. Ostinarsi a non osservare come dato di fatto le buone pratiche elaborate e applicate nei settori messi alla gogna – per esempio l’introduzione di certificazioni di filiera per l’olio di palma sostenibile – significa illudersi che le vittime della globalizzazione possano essere salvate dalla mano invisibile di una giustizia superiore, ma poco super partes.

È arrivato il momento di capire che la sostenibilità non è solo un valore, ma una pratica che richiede un approccio olistico ed uno sforzo costante di ricerca e un dispiegamento ingente di risorse. Tuttavia se questo impegno resterà di esclusiva delle major di settore, la sostenibilità continuerà a essere una pratica di vita da benestanti. Attualmente, soltanto un quinto del mercato dell’olio di palma prodotto nel mondo dispone della certificazione di sostenibilità. Ad ammetterlo è proprio la Roundtable on Sustainable Palm Oil, che sottolinea come il dato resti stagnante dal 2014, riconoscendo la necessità di rendere più inclusivi i propri standard per gli smallholders. C’è chi punta il dito contro i pesci grandi, ma la verità è che le multinazionali non hanno alcun interesse a veder soffocare i piccoli produttori, al contrario, puntano a supportare la loro crescita sostenibile, perché rappresentano circa il 40% del “problema” ma anche della soluzione.

Il mercato dell’olio di palma è molto polarizzato, come il dibattito che lo circonda. Grandi produttori e acquirenti da una parte. Piccoli produttori, con pochi mezzi di crescita, e masse di consumatori dall’altra. Il gap che ancora resta da colmare per rendere l’intera filiera totalmente sostenibile richiede politiche attive per la promozione di buone pratiche agricole e imprenditoriali, standard globali sempre più stringenti ma inclusivi, riconosciuti da un numero sempre maggiore di governi e attori, che incentivino le forze produttive non ancora sostenibili a trasformarsi in tali, con una distribuzione più equa dei maggiori costi di produzione. È una provocazione, certo. Soprattutto in un momento in cui i prezzi delle materie prime sono alle stelle. Ma se è vero che l’olio di palma è versatile e costa poco, soprattutto per gli standard occidentali, allora proprio in linea con questi standard è plausibile immaginarne un contenuto aumento di prezzi, che remuneri anche il costo della sostenibilità.

Quest’anno il tema della Giornata Mondiale dell’Ambiente è il ripristino degli ecosistemi. L’olio di palma sostenibile è una delle soluzioni per arrestare, prevenire, e invertire il loro degrado. L’alternativa è fare come lo Sri Lanka, che ha messo a bando le importazioni e intende radere al suolo le proprie piantagioni. Lecito chiedersi come reagiranno i piccoli coltivatori, le loro famiglie, e i lavoratori del settore.