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09/05/2022

I CONSUMI “SENZA”: TRA FALSE CREDENZE E PAURE DEGLI ITALIANI. IL CASO DELL’OLIO DI PALMA

Negli ultimi anni il dibattito pubblico intorno al tema dei consumi “senza” ha fortemente influenzato le scelte dei consumatori, in particolare quelle che riguardano i consumi senza olio di palma. Informazioni discordanti e Fake News hanno poi ulteriormente disorientato i consumatori, che si trovano a gestire i loro acquisti tra paure e false credenze alimentari.

A questo proposito, nella giornata di giovedì 28 aprile, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, si è tenuto il convegno dal titolo I CONSUMI “SENZA”: TRA FALSE CREDENZE E PAURE DEGLI ITALIANI. IL CASO DELL’OLIO DI PALMA, organizzato da EngageMinds HUB, Centro di ricerca in psicologia dei consumi dell’Università Cattolica di Cremona, per condividere evidenze scientifiche emerse da uno studio dedicato al fenomeno dei consumi “senza” affrontato attraverso le lenti della psicologia dei consumi applicata alla salute e alla sostenibilità. A seguire si è svolta una tavola rotonda moderata dalla giornalista scientifica Roberta Villa, che ha offerto numerosi spunti di riflessione utili ad orientare la comunicazione e l’educazione dei consumatori.

Sono intervenuti: Marco Trevisan, Preside della Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali –Alessandro Antonietti, Preside della Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – Lorenzo Morelli, Direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie alimentari per una filiera agro-alimentare Sostenibile, DiSTAS – Università Cattolica del Sacro Cuore – Mauro Fontana, Presidente Unione Italiana Olio di Palma Sostenibile – Guendalina Graffigna, Direttore EngageMinds HUB, Professore Ordinario Psicologia dei consumi e della salute, Facoltà Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali – Università Cattolica del Sacro Cuore – Tiziana Toto, Responsabile delle politiche dei Consumatori di Cittadinanzattiva – Andrea Ghiselli, Presidente Società italiana di scienze dell’alimentazione – Monica Tommasi, Presidente Amici della Terra – Giorgio Donegani, Consigliere Ordine Tecnologi Alimentari di Lombardia e Liguria, Presidente dell’Istituto Italiano Alimenti Surgelati – Michele Antonio Fino, Professore di fondamenti del diritto europeo Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Moderatore: Roberta Villa, Medico e giornalista scientifica

L’effetto “senza”

Il progetto di ricerca, presentato da Guendalina Graffigna, Direttore EngageMinds HUB e Professore Ordinario di psicologia dei consumi e della salute si è incentrato sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei consumatori rispetto ai cibi “senza” con un focus sul caso dell’olio di palma.

Per l’esperimento sono stati creati due prodotti fittizi uno dolce e uno salato e per ciascuno di esso sono stati creati una versione convenzionale, quindi senza nessuna etichetta, e altri quattro prodotti alternativi con l’etichetta “senza”: “senza olio di palma”, “senza olio di girasole” e introdotto due trabocchetti per il consumatore , un prodotto “senza grassi polinsaturi” che sappiamo invece essere salutari, e un prodotto “senza CO2”, cioè senza anidride carbonica, che non ha senso.

senza olio di palma

Clicca qui per scaricare la presentazione a cura della D.ssa Graffigna

 

“I risultati dell’ esperimento di psicologia dei consumi, condotto su 1200 consumatori italiani perfettamente rappresentativi della popolazione, hanno confermato le nostre ipotesi iniziali – sottolinea la professoressa. Graffigna – “L’etichetta “senza” determina una forte distorsione cognitiva nella valutazione dei prodotti alimentari. Tanto da indurre i consumatori a pensare che quel prodotto sia di maggiore qualità, più salutare e più rispettoso dell’ambiente indipendentemente dal tipo di ingrediente eliminato, poiché ciò che guida la valutazione è l’etichetta “senza” e non l’ingrediente escluso”.

Il prodotto convenzionale in generale è percepito di minore qualità rispetto a qualsiasi prodotto “senza” anche quelli “fittizi”. In particolare, il 45% degli intervistati considera di particolare qualità il prodotto “senza olio di girasole”; una quota che sale al 51% se “senza olio di palma”. Gli stessi atteggiamenti vengono rilevati anche considerando gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale degli alimenti, con più della metà degli italiani che ritiene i prodotti “senza olio di palma” più sostenibili dei convenzionali.

Esiste quindi un “effetto senza”, puramente psicologico, dal potere seduttivo in grado persino di spingere i cittadini a preferire paradossalmente su prodotti nei quali l’ingrediente “mancante” è inesistente come nei prodotti “senza CO2’’ o addirittura salutare, come in quelli “senza grassi polinsaturi”, che sono in realtà benefici per la salute.

L’“effetto senza” va a stimolare tutto quel mondo emotivo, impulsivo, di senso di colpa del consumatore, tanto da modificarne l’atteggiamento a priori indipendentemente dall’ingrediente, e tende ad impattare indipendentemente dal livello di istruzione del consumatore e dal suo potere d’acquisto. Secondo la prof. Graffigna “Questa distorsione cognitiva nel processo valutativo e decisionale può essere fortemente solleticata da tutte quelle iniziative di comunicazione di marketing di persuasione che fanno gancio su questi limiti della razionalità del consumatore”.

Il caso dell’olio di palma è lampante – E’ il momento di fare chiarezza

“L’olio di palma è effettivamente il prodotto dove questo meccanismo è più lampante, perché veniamo culturalmente da anni di demonizzazione. Parliamo di irrazionalità ed impulsi, non di conoscenze sicuramente. Siamo di fronte a un ingrediente che sta catalizzando e che ha catalizzato le attenzioni e le preoccupazioni dei consumatori italiani e su cui quindi bisogna fare chiarezza. Anche per questo è nata l’idea di questo evento e della tavola rotonda con gli esperti. Dato che ci sono preoccupazioni, che c’è confusione, che ci sono dei dubbi, forse è giunto il momento, a beneficio non solo della scienza ma anche della società, di mettere insieme i pezzi del puzzle.” Cosi ha concluso la prof. Graffigna prima di aprire la tavola rotonda.

Cosa si può fare quindi per aiutare i consumatori nelle loro scelte di consumo? L’unica strada, concordano gli esperti, è combattere le fake news e le mode con una corretta informazione del consumatore.

 

Ecco la sintesi degli interventi introduttivi e della tavola rotonda:

 

Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto”

Marco Trevisan, Preside della Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che dopo aver aperto il suo intervento citando Paracelso, definisce il “senza olio di palma” un caso scuola, spesso utilizzato nelle sue lezioni in quanto eclatante esempio di disinformazione. Un prodotto che è stato “messo in croce inizialmente per motivi ambientali, questione dimostratasi falsa, perché, le aree di suolo consumate dagli altri oli vegetali sono nettamente superiori, visto che la palma è la più produttiva” e anche per presunti rischi per la salute. Ha ricordato in particolare la “clamorosa” questione dei contaminanti di processo nata a seguito del parere EFSA non definitivo del 2016, che ha portato alla comparsa sul mercato di un “numero enorme di prodotti “senza olio di palma” che non avevano alcuna giustificazione”. Trevisan ha ribadito infatti che il parere EFSA in realtà chiariva che i contaminanti in questione si possono formare in tutti gli oli vegetali se non prodotti in maniera accurata e che l’olio di palma in commercio si colloca ben al di sotto dei limiti legali ora fissati dall’ Autorità Europea.

 

La comunicazione esplicita attraverso argomenti razionali rischia di essere poco efficace

In questo contesto fatto di disinformazione e false credenze, il fattore psicologico influisce pesantemente. Lo ha sottolineato il Prof. Alessandro Antonietti, Preside della Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che nel suo intervento ha citato altri studi che dimostrano quanto minime sfumature di linguaggio siano in grado di modificare i comportamenti e le scelte delle persone. Una semplice parola come “senza” è in grado di influenzare e a volte falsare la percezione del consumatore innescando delle reazioni a catena fino a distorcere la realtà. Da qui discende l’interesse dal punto di vista accademico per il progetto di ricerca di HengageMinds Hub, anche in prospettiva di uno sviluppo ulteriore di questo approccio interdisciplinare. “Se la mente è così sensibile a questi indizi linguistici e questi agiscono al di sotto della soglia della coscienza giocando su dei meccanismi di selezione e integrazione delle informazioni di inferenza portando le persone a comportamenti non adeguati, come andarli a modificare? – ha concluso Antonietti – La strada della comunicazione esplicita attraverso argomenti razionali rischia di essere poco efficace perché proprio perché questi meccanismi sono profondamente radicati nella nostra mente e sono difficilmente controllabili. Forse bisogna esplorare delle strade alternative che inducano questi meccanismi automatici a rispondere in una maniera differente rispetto a quella alla quale certi condizionamenti culturali e comunicativi l’hanno abituata ad operare”.

 

Comunicare al consumatore in materia corretta e non limitarsi a seguire l’onda del marketing

Il Prof. Lorenzo Morelli, Direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari per una filiera agro-alimentare Sostenibile dell’<università Cattolica, ha sottolineato la rilevanza che stanno assumendo i prodotti “senza” a livello di ricerca e sviluppo: “la sfida di chi faceva innovazione nell’alimentazione era aggiungere delle sostanze, fortificare degli alimenti; oggi ai nostri studenti dobbiamo insegnare come togliere delle sostanze per rispondere alla richiesta delle aziende”. Morelli ha concluso il suo intervento sottolineando che “i docenti hanno la responsabilità di preparare i futuri tecnologi e cittadini ed una responsabilità come ricercatori nel comunicare al consumatore in materia corretta e non limitarsi a seguire l’onda del marketing, che nel breve periodo può creare ritorni positivi ma nel lungo periodo può essere dannoso per l’intero sistema alimentare”

 

L’olio di palma sostenibile è la migliore e unica alternativa all’olio di palma

Come spiega Mauro Fontana, presidente Unione Italiana Olio di Palma Sostenibile, “Con tutto il clamore mediatico che c’è stato tra il 2016 e il 2017, quando l’olio di palma fu additato come molto rischioso, questo sentimento dei consumatori è diventato quasi una moda e cavalcata dai media generalisti ha indirizzato le scelte sugli scaffali”. L’unico modo per difendere l’olio di palma da questa offensiva è una maggiore informazione, per far conoscere al consumatore le prerogative dell’olio di palma sostenibile, che illustra sinteticamente nel suo intervento. “La ricerca di EngageMinds Hub ci dice che solo il 54% degli italiani conosce già l’olio di palma sostenibile e l’intento dell’Unione è riuscire ad informare correttamente il rimanente 46%, e soprattutto far sì che possa crescere la consapevolezza che l’olio di palma sostenibile sia l’unica valida alternativa all’olio di palma convenzionale, dal punto di vista ambientale, sociale ed economico”.

 

Il diritto non è preparato a gestire il fenomeno del “senza”

Il caso dell’olio di palma inizia con l’entrata in vigore di un regolamento comunitario che voleva aumentare la trasparenza delle etichettature, ma che di fatto ha prodotto una distorsione nella consapevolezza del pubblico,, come ha ricordato Michele Antonio Fino, Professore di fondamenti del diritto europeo – Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo “Questo ha permesso a chi aveva degli interessi di scatenare una guerra contro l’olio di palma; una campagna che come abbiamo chiarito in un convegno organizzato nel 2016 a Torino era senza fondamento medico, ambientale o chimico”. A distanza di sei anni, la ricerca sperimentale di psicologia dei consumi ci spiega il perché del successo dei prodotti “senza”: “illustra un processo che in realtà dal punto di vista giuridico pone dei problemi che non si limitano alle etichette”. Il Prof. Fino sottolinea che si è strutturato un discorso pubblico rispetto al quale il diritto non è preparato e che riguarda anche la sfera della libertà del consumatore di scegliere in modo informato e la “manipolazione ambientale” a cui è sottoposto.

 

Il “senza” comporta rischi per la salute

Andrea Ghiselli, presidente della Società italiana di scienze dell’alimentazione, ha sottolineato che “per il nutrizionista il “senza” comporta un rischio per la salute delle persone soprattutto perché le etichette “senza” inducono il consumatore a non leggere le etichette per intero e abbassano l’autocontrollo, o “empowerment”, perché “il fatto di poter contare su un alimento “senza” porta il consumatore a consumarne indiscriminatamente di più perché ritiene erroneamente che quell’alimento sia più sano e quindi ne può consumare di più. La stessa cosa è successa con l’olio di palma: abbiamo tolto l’olio di palma dai biscotti e il consumatore si è sentito in diritto – invece di mangiare i suoi due biscotti- di mangiarne anche tre, perché non c’era l’olio di palma”. Al contrario, secondo  Ghiselli “il consumatore dovrebbe essere messo nella posizione di poter resistere alle tentazioni”.

 

In questi anni ha vinto l’ideologia ed è mancata una regia istituzionale

“Come abbiamo visto dallo studio dell’Università Cattolica i consumatori ritengono di qualità in generale un prodotto “senza olio di palma” e comunque “senza”, a dimostrazione che in questi anni quello che ha contato è stata la campagna ideologica contro l’olio di palma. “Senza olio di Palma” vuol dire essere a favore dell’ambiente, contro la deforestazione; quindi, ha vinto l’ideologia” ha osservato Monica Tommasi, Presidente di Amici della Terra, che dal 2016 conduce una campagna a favore della certificazione della filiera basandosi su dati scientifici e oggettivi e dal 2021 ha aderito all’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile condividendone gli obiettivi.

Secondo Tommasi anche dal punto di vista ambientale l’obiettivo non dovrebbe essere quello di boicottare tout court l’olio di palma ma quello di ridurre gli impatti ambientali e dunque il rischio di deforestazione utilizzando esclusivamente olio di palma sostenibile certificato, ovvero tracciabile, non proveniente da conversione di foreste e torbiere o di aree sottoposte incendi volontari, del quale l’industria alimentare italiana si fornisce peraltro ormai quasi il 100%.

Non è emersa invece la voce di chi in questi anni ha portato avanti una campagna contro la deforestazione, una campagna peraltro serissima tanto che nel 2004 si è costituito un tavolo internazionale, la RSPO, fatto da aziende di produzione, di lavorazione, da investitori, da ONG, da consumatori per promuovere la scelta dell’olio di palma sostenibile. Un prodotto certificato sostenibile dovrebbe essere, anzi è, una garanzia per il consumatore finale. E allora come facciamo a far sentire quest’altra voce? Secondo noi in un’etichetta va scritto quello che c’è dentro non quello che non c’è, e le aziende dovrebbero iniziare a inserire il logo della RSPO”.

Tommasi ha concluso il suo intervento osservando che è mancata una regia istituzionale e che sia giunto il momento di stimolare anche le autorità competenti a livello nazionale e comunitario ad informare al meglio i consumatori.

 

Il “senza” è molto comodo e riempie un vuoto di consapevolezza

Giorgio Donegani, Consigliere dell’Ordine Tecnologi Alimentari di Lombardia e Liguria e Presidente dell’Istituto Italiano Alimenti Surgelati, ricollegandosi al punto sollevato dal Prof. Morelli, ha confermato la richiesta frequente da parte dell’industria di studiare prodotti “senza” o “ricchi” di qualcosa per rispondere a esigenze di marketing.

Sul tema della disinformazione ha osservato che “Oggi ci troviamo di fronte a quella che è stata secondo me una determinante fondamentale nello stravolgere il rapporto col cibo. La comunicazione da verticale – cioè da chi è esperto perché ha esperienza – è diventata orizzontale e non intermediata, cioè tutti oggi si possono dichiarare esperti di alimentazione, proporre delle nuove teorie.” Teorie che si diffondono rapidamente e permangono a tempo indeterminato in rete. “Oggi se facciamo una ricerca su “olio di palma” troviamo articoli che ancora citano il parere dell’EFSA quando il problema è ormai superato. Questo contesto di comunicazione ha esasperato quella che è una distanza in termini di diffidenza tra l’industria e il consumo: l’industria cattiva e i consumatori che devono difendersi. La stessa ricerca del “senza” è innaturale. La diffidenza è accentuata dal fatto che mai storicamente sono stati così lontani i momenti della produzione e del consumo nella percezione ed esperienza diretta dei consumatori. C’è un vuoto di consapevolezza che va riempito ed il modo più semplice e affascinante per farlo è dividere gli alimenti tra buoni e cattivi. E’ molto comodo pensare magicamente che la salute si conquisti evitando questo o mangiando più di quello”.

Secondo Donegani l’industria dovrebbe rivendicare la propria competenza e la propria esperienza, e il caso dell’olio di palma è eloquente. Non si dovrebbe cedere alle richieste a volte immotivate del consumatore finale e riformulare i prodotti eliminando ingredienti per compiacerlo pur riconoscendone le caratteristiche positive dal punto di vista organolettico e tecnologico.

 

La parola ai consumatori

Tiziana Toto, Responsabile delle Politiche dei Consumatori di Cittadinanzattiva, conclude con una riflessione sulla maggiore attenzione dei consumatori alla salute e alla sostenibilità e sulle difficoltà che i consumatori incontrano nel compiere scelte responsabili. “L’approccio con cui il consumatore si pone nei confronti delle scelte d’acquisto si è modificato rispetto al passato, c’è maggiore attenzione rispetto agli aspetti della salute ma anche a tutta la questione della sostenibilità e quindi degli impatti ambientali piuttosto che delle questioni etiche e quindi legata alla dimensione della sostenibilità sociale. Ma ciò non toglie che per compiere scelte realmente consapevoli bisogna partire da una informazione che sia corretta e facilmente decifrabile, condizionata dall’avere a disposizione adeguati strumenti di informazione. Il marketing, il web, la rete amicale e parentale possono andare a condizionare le nostre scelte di acquisto con informazioni che non sempre però purtroppo sono corrette e controllate. Dal nostro punto di vista l’indicazione è che se vogliamo un consumatore davvero attento e attivo, bisogna in qualche modo coinvolgerlo all’interno dei processi e non continuare a ritenerlo il terminale ultimo del percorso”. Proprio in quest’ottica le attività che Cittadinanzattiva porta avanti da anni in tema di scelte dei consumi sostenibili e salutari e di corretti stili di vita è di primaria importanza nel contribuire ad un aumento della consapevolezza e ad un coinvolgimento dei consumatori fin dalla più giovane età.

 

Le conclusioni che si possono trarre da questa interessante giornata di approfondimento e confronto interdisciplinare sono ben riassunte da quanto espresso dalla moderatrice Roberta Villa in chiusura. Il consumatore oggi vorrebbe informarsi, vorrebbe capire di più ma non trova la fonte corretta da cui informarsi. E’ necessaria una maggiore educazione al consumatore anche rispetto a quelli che sono i meccanismi psicologici che stanno dietro alle nostre scelte. Occorre aumentare il senso critico del pubblico più che vietare, imporre o censurare. Questo vale per le etichette ma anche per il resto dell’informazione. Dobbiamo imparare distinguere i meccanismi psicologici che ci possono portare a fare delle scelte sbagliate.

 

Guarda la registrazione dell’evento 

Interviste:

Speciale AdnKronos: I consumi “senza”, tra false credenze e paure degli italiani:

Speciale de La Provincia di Cremona: Unicatt, i «cibi senza» alimentano le fake news: convegno illuminante a Cremona