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16/11/2018

ICELAND: CONTINUA LA STRUMENTALIZZAZIONE DELL’OLIO DI PALMA A FINI COMMERCIALI

 

Arriva dal Regno Unito la nuova campagna populista e buonista di Iceland, una catena di supermercati britannica che approfitta del Natale per farsi pubblicità a scapito dei produttori di olio di palma e dei consumatori.

E’ di questi giorni infatti la notizia della campagna pubblicitaria natalizia di Iceland, che grazie alla complicità dei media è diventata virale sui social. Greenpeace Italia rilancia anche una versione italiana del cartone animato, con la cantante Noemi che presta la propria voce alla protagonista.

Iceland Food è stata la prima catena del Regno Unito a cavalcare commercialmente la campagna di demonizzazione dell’olio di palma, annunciando con clamore lo scorso aprile che avrebbe eliminato dai propri prodotti questo ingrediente entro il 2018.

Con la benedizione di Greenpeace, Iceland ha quindi deciso di lanciare una campagna pubblicitaria in occasione di Natale utilizzando la breve clip animata prodotta dall’ONG, già apparsa quest’estate nei canali online, nella quale si narra la commovente storia di un cucciolo di orango scacciato dalla foresta dai produttori di olio di palma. Il divieto alla messa in onda dello spot in TV da parte di Clearcast, in quanto giustamente considerato di natura politica e per questo non ammesso dalla regolamentazione britannica, è stato abilmente utilizzato come gancio mediatico.

Come prevedibile, il video è diventato virale nel giro di poco tempo e la notizia si è diffusa oltre i confini britannici, facendo passare un messaggio poco chiaro, parziale, fuorviante e soprattutto dannoso: per salvare gli oranghi dall’estinzione dobbiamo boicottare l’olio di palma.

In Italia, Greenpeace ne approfitta per promuovere l’ultimo report e l’ennesima petizione e immediatamente rilancia il video animato producendo una versione doppiata in italiano dalla cantante Noemi, che naturalmente si presta al gioco convinta che il boicottaggio sia una cosa buona e giusta.

E’ evidente che per Iceland si tratta di una pura e semplice operazione commerciale natalizia. Al punto tale che lo stesso Richard Walker, Managing Director della Iceland, intervistato in diretta durante il programma Good Morning Britain, viene messo di fronte all’evidenza e ridicolizzato dal giornalista Piers Morgan (Iceland Managing Director Defence Banned Advert).

Questi i principali rilievi mossi dal giornalista in diretta:

  • l’olio di palma ha rese più alte, richiede meno pesticidi e acqua di qualsiasi altro olio vegetale
  • il burro ha un impatto ambientale molto più elevato
  • la coltivazione di palme da olio non è la principale causa di deforestazione
  • la superficie coltivata a palme da olio non è paragonabile in termini di estensione ad altre commodities agricole
  • la soia è molto meno sostenibile, così come gli allevamenti
  • Come mai Iceland non boicotta la soia? Per non contrariare i vegani?
  • Come mai ancora commercializza prodotti contenenti olio di palma?

Quello che forse è meno chiaro e che vale la pena di sottolineare, citando anche qualche fonte autorevole, come il recente rapporto IUCN (Saying ‘no’ to palm oil would likely displace, not halt biodiversity loss – IUCN report), è che il boicottaggio dell’olio di palma non è la soluzione, anzi è controproducente perché peggiorerebbe la situazione, disincentiverebbe i produttori dall’adottare politiche di sostenibilità e danneggerebbe le popolazioni che dalle piantagioni di olio di palma traggono fonte di reddito.

Non a caso, dall’operazione di Iceland e la strumentalizzazione del video di Greenpeace hanno preso le distanze diversi esperti ed organizzazioni non governative:

Alcuni esempi per saperne di più:

L’Unione Italiana dell’Olio di Palma Sostenibile ribadisce ancora una volta che il boicottaggio dell’olio di palma non serve a risolvere le questioni ambientali. L’unica soluzione è lavorare insieme per stimolare la crescita della filiera di produzione di olio di palma sostenibile, anche per salvaguardare gli oranghi, che peraltro – vale la pena di precisarlo –  vivono solo in una parte delle zone di produzione.

Quella dell’olio di palma, ad oggi, è comunque la filiera più controllata ed è l’unica che risponde a criteri sempre più severi di produzione sostenibile. Proprio ieri, a Kota Kinabalu, In Malesia, la RSPO ha votato l’adozione di nuovi e più stringenti standard di certificazione di sostenibilità per garantire una migliore protezione dell’ambiente, sviluppo sociale e economico lungo tutta la catena del valore dell’olio di palma sostenibile (articolo adnkronos).

La stessa Greenpeace International, come membro del Palm Oil Innovation Group, non supporta il boicottaggio dell’olio di palma, come si legge in una precedente reazione alla campagna di Selfridges (Press Release to Selfridges Statement). Il sostegno di Greenpeace alla campagna di Iceland rischia di confondere il pubblico ed i consumatori.

Sarebbe quindi auspicabile da parte di Greenpeace ci fosse una maggiore chiarezza nei messaggi diffusi in comunicazione, affinché non si creino equivoci ed interpretazioni strumentali della posizione della loro organizzazione, ribadita anche due giorni fa proprio in occasione del RT2018 di RSPO.

 

Per saperne di più: