Olio di palma e ambiente

La palma da olio è una pianta molto efficiente. Ha una capacità di fruttificare pressoché costante durante tutto l’anno con rese in termini di produzione di frutti molto elevate già a partire dal terzo o quarto anno di età, con valori medi di circa 14,5 tonnellate ad ettaro e fino a 19 tonnellate per ettaro in Malesia (FAOSTAT 2021). I frutti sono raggruppati in grossi grappoli molto compatti che pesano circa 20-30 kg e possono contenere oltre 2.000 frutti ciascuno, con un contenuto oleico molto alto che si aggira mediamente intorno al 30-35%. Dalla lavorazione dei frutti è possibile estrarre due diverse tipologie di prodotto: l’olio di palma e, in quantità minore l’olio di semi di palma o olio di palmisto,  con una resa media di 3-4 tonnellate ad ettaro di olio di palma e di 0,5 tonnellate ad ettaro di olio di palmisto, una produttività fino a 10 volte superiore rispetto ad altri oli vegetali.

Queste caratteristiche hanno favorito la rapida espansione delle piantagioni di palma da olio a partire dagli anni 80, principalmente in Indonesia e Malesia e più di recente anche in altre zone tropicali umide. Originaria dell’Africa occidentale, la palma da olio è oggi coltivata in Asia, Africa e America Latina.

Dal 1980 ad oggi la produzione di olio di palma è passata da 4,5 milioni a circa 72 milioni di tonnellate. Indonesia e Malesia sono i maggiori produttori di olio di palma, con una quota dell’85% della produzione mondiale.

L’olio di palma è l’olio vegetale più utilizzato al mondo. Rappresenta oltre il 35% della produzione di oli vegetali, seguito da olio di soia (28%), olio di colza (12%) e olio di girasole (9%), ma la coltivazione della palma da olio occupa meno del 10% delle terre utilizzate per la coltivazione di oleaginose.

Contrariamente a quanto si pensa, la coltivazione della palma da olio non avviene esclusivamente in piantagioni su scala industriale. Oltre il 40% della produzione è concentrata in piantagioni di proprietà di piccoli coltivatori.

Anche se molte piantagioni hanno sostituito coltivazioni di caucciù e di caffè o sono sorte su suoli già degradati, è innegabile che l’espansione delle piantagioni di palma da olio sia avvenuta a discapito delle foreste pluviali e delle torbiere, con conseguenti perdite di habitat naturali e stock di carbonio forestali, emissioni di gas serra e minacce per la biodiversità e conflitti sociali con le comunità locali, soprattutto nelle regioni più remote.

Globalmente la palma da olio è responsabile di meno del 5% della deforestazione totale, ma in alcune regioni, come il Borneo, è stato stimato che le piantagioni di palme da olio hanno contribuito negli anni passati (fino al 2015) al 50% circa della perdita di foreste tropicali.

I dati più recenti mostrano tuttavia un notevole rallentamento del tasso di deforestazione associato all’olio di palma ed un impegno crescente da parte di tutta la filiera ad eliminare la deforestazione dalla propria catena di fornitura.

 

In particolare, Indonesia e Malesia, hanno fatto registrare per il quinto anno consecutivo ottimi risultati, grazie alle misure introdotte dai governi locali nel controllo e la prevenzione degli incendi, le moratorie su foreste primarie e torbiere e sul rilascio di nuove concessioni ed agli impegni NDPE dei principali attori della filiera.
La produzione di olio di palma è un importante driver per lo sviluppo socio-economico dei paesi produttori e assicura lavoro e benessere a milioni di persone, oltre a rappresentare una importante risorsa alimentare per  la popolazione del pianeta.

Si stima che la domanda di olio di palma dovrebbe continuare a crescere dell’1,7% all’anno fino al 2050 .

La sua sostituzione con altri oli vegetali alternativi non rappresenta una soluzione sostenibile, perché non farebbe che aumentare il fabbisogno di terre coltivabili e di conseguenza anche la pressione sugli ecosistemi. Inoltre si disincentiverebbe la filiera a produrre in modo sostenibile (IUCN, 2018)

In un mondo “senza olio di palma” per soddisfare la domanda di oli vegetali nel 2050 avremmo bisogno di una superficie di terra coltivabile in più di circa 204 milioni di ettari, equivalenti a quasi 7 volte l’Italia.

 

La soluzione: Produrre olio di palma in modo sostenibile

Per controllare le implicazioni negative legate all’espansione di questa preziosa coltura oleaginosa e garantire uno sviluppo sostenibile  dal punto di vista ambientale, economico e sociale, sono stati sviluppati una serie di schemi e protocolli di certificazione, che negli anni hanno incluso principi e criteri sia di natura ambientale che socio-economica per la produzione sostenibile dell’olio di palma.

La più importante è la Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO), una iniziativa globale multi-stakeholder nata nel 2004 e che oggi rappresenta il sistema volontario di certificazione più diffuso. I membri di RSPO e i partecipanti alle sue attività provengono da diversi contesti (coltivatori, trasformatori e commercianti, produttori di beni di consumo e distributori commerciali di prodotti a base di olio di palma, istituzioni finanziarie, e 48 ONG ambientali e sociali).

La Vision di RSPO è “trasformare i mercati rendendo l’olio di palma sostenibile la norma”.

Con l’importante revisione del 2018, che ha recepito le raccomandazioni delle principali ONG ambientaliste e sociali, il sistema di certificazione RSPO è stato reso ancora più rigoroso ed è oggi considerato il più completo.

I nuovi  Principi e Criteri RSPO si raccordano ai tre pilastri della Teoria del Cambiamento (ToC) di RSPO – People, Prosperity, Planet – e sono strettamente correlati agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite:

  1. Adottare un comportamento etico e trasparente
  2. Operare in maniera legale e rispettare i diritti
  3. Ottimizzare la produttività, l’efficienza, gli impatti positivi e la resilienza
  4. Rispettare le comunità e i diritti umani e apportare benefici
  5. Sostenere l’inclusione dei piccoli coltivatori
  6. Rispettare i diritti e le condizioni dei lavoratori
  7. Proteggere, conservare e valorizzare gli ecosistemi e l’ambiente

Con l’obiettivo di promuovere standard di sostenibilità sempre più rigorosi, nel 2013 è nato il Palm Oil Innovation Group (POIG), iniziativa multistakeholder che – partendo dai requisiti di RSPO – mira ad promuovere criteri più stringenti a protezione delle foreste e delle comunità. Insieme ad alcuni produttori e aziende di beni di consumo, aderiscono al POIG anche 8 associazioni ambientaliste e sociali  – tra queste Greenpeace, WWF, Orangutan Land Trust e Rainforest Action Network.

 

Olio di palma sostenibile certificato – A che punto siamo

Attualmente 4,38 milioni di ettari coltivati con palma da olio sono certificati RSPO, per un totale di 17,6 milioni di tonnellate di olio di palma, corrispondenti al 19% della produzione globale di olio di palma (RSPO aprile 2021).

In Italia, secondo le ultime stime (dati 2021), circa il 93% dell’olio di palma complessivamente utilizzato in Italia proviene da fonti sostenibili. Per quanto riguarda in particolare l’industria alimentare, in un quinquennio la quota di olio di palma certificato RSPO impiegato nei processi produttivi è più che raddoppiata, passando dal 43% ad oltre il 95%.

 

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