Si sente sempre più spesso parlare di nutrizione sostenibile. Oggi l’umanità non può più permettersi di fare scelte che prescindano dalla valutazione dell’impatto ambientale che hanno stili di vita e abitudini di consumo. L’alimentazione gioca un ruolo fondamentale per la salute ed il benessere delle persone ma la produzione agroalimentare deve fare i conti con il suo impatto sull’ambiente e lo sviluppo economico e sociale.
Questa nuova e più olistica visione della nutrizione non si limita a tenere conto dei singoli nutrienti ma valuta l’apporto di un alimento nell’ambito delle abitudini alimentari dell’individuo e tiene conto anche di tutta una serie di fattori esterni, ambientali e socioeconomici, che influiscono e concorrono nel definire lo stato di salute personale. Questo approccio considera anche l’impatto ambientale e socioeconomico del processo di produzione degli alimenti e della necessità di rispondere in modo sostenibile all’esigenza di sicurezza alimentare ed alla malnutrizione, intesa nella sua duplice accezione: inadeguato/eccessivo apporto di nutrienti.
Un interessante articolo pubblicato sull’ European Journal of Internal Medicine dal titolo Sustainable and personalized nutrition: from earth health to public health affronta proprio questo tema.
Abbiamo chiesto ad uno degli autori, il Prof. Sebastiano Banni del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Cagliari, di commentare il lavoro e spiegare perche si è voluto affrontare il tema dei grassi saturi e in particolare dell’acido palmitico.
La nutrizione sostenibile non considera solo gli aspetti medici, ma anche gli impatti psicologici, economici, ambientali e sociologici. Si basa su un concetto più ampio di benessere che comprende ma va oltre gli effetti sulla salute, e guarda alla sicurezza alimentare, ai costi ed alla sostenibilità ambientale e sociale. Questo nuovo approccio è in grado di favorire anche un uso più efficiente delle risorse alimentari disponibili.
Si pensi ad esempio ai grassi, il cui ruolo fisiologico all’interno dell’organismo è fondamentale. Sottovalutarne le importanti proprietà nutrizionali, riducendo il loro consumo al di sotto dei valori minimi ottimali e/o assumendoli in modo squilibrato non rispettando la diversità, rischia di avere ripercussioni negative sulla nostra salute ma anche dal punto di vista dello sviluppo sostenibile.
Nell’alimentazione umana gli acidi grassi di origine vegetale e animale, oltre a rappresentare un fondamentale substrato energetico, svolgono anche un ruolo strutturale e metabolico di primaria importanza.
Per anni i grassi saturi sono stati considerati responsabili dell’aumento del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e di conseguenza le linee guida internazionali raccomandano di limitarne al massimo il consumo. Tuttavia, la letteratura scientifica più recente suggerisce che gli acidi grassi saturi, come quelli insaturi, hanno un ruolo fisiologico fondamentale e devono essere presenti nella dieta in un equilibrio ottimale. Infatti, il problema di un eccesso di assunzione di grassi saturi è dovuto a una corrispondente carenza dell’assunzione dei polinsaturi. Anche tra i polinsaturi, per esempio, è importante che ci sia un equilibrio tra gli omega-6 e gli omega-3. Pertanto non bisognerebbe eliminare gli alimenti ma anzi bisognerebbe incrementare la diversità e non focalizzarsi sui grassi saturi per sè quanto piuttosto sulla composizione dei pasti e le interazioni tra i vari nutrienti nella matrice alimentare.
L’olio di palma ad esempio è stato ingiustamente demonizzato perché contiene acido palmitico (saturo) e oleico (monoinsaturo) nelle stesse concentrazioni. In Italia, dove il suo consumo è marginale, la sua assunzione non comporta modifiche sostanziali dell’assunzione dei diversi acidi grassi, e l’olio di oliva che contiene circa il 15% di palmitico e 70% di oleico risulta essere una maggiore (più del doppio) fonte di palmitico rispetto all’olio di palma. Mediamente con la nostra dieta ne assumiamo complessivamente circa 20g di cui meno di 2g dall’olio di palma.
L’acido palmitico non è nutriente esclusivo dell’olio di palma, come spesso erroneamente si pensa. L’olio di palma certamente ne è ricco, ne contiene circa il 50%, ma lo troviamo in moltissimi alimenti di orgine animale e vegetale molto comuni della nostra alimentazione come il burro, l’olio di oliva, le carni, il pesce, i salumi e i formaggi.
L’acido palmitico, come già accennato, è l’acido grasso tra i più diffusi in natura. È anche tra i principali acidi grassi del nostro corpo: rappresenta fino al 30% degli grassi totali, il che significa che in un uomo di 70kg, 3,5kg sono costituiti da acido palmitico. Pertanto, l’assunzione stimata di 20 grammi al giorno rappresenta una goccia nel mare di palmitico nel nostro corpo. Infatti, l’assunzione di palmitico non aumenta significativamente i suoi livelli nei diversi tessuti.
L’acido palmitico svolge importanti funzioni sin dalle prime fasi di sviluppo fetale. Infatti, il feto non avendone un sufficiente apporto dalla madre, sviluppa una capacità elevata di produrlo a partire dal glucosio materno attraverso un processo chiamato “de novo lipogenesi”. Alla nascita l’apporto necessario è fornito dal latte materno particolarmente ricco in palmitico, e si riduce quindi la capacità di produrlo dal glucosio. Il contenuto di palmitico nei tessuti è fortemente regolato per poter svolgere le sue funzioni fisiologiche come componente fondamentale delle membrane cellulari, per la produzione di una sostanza, il surfattante, che impedisce agli alveoli polmonari di collassare, è precursore di molecole che regolano diversi processi fisiologici nella risposta all’infiammazione e al dolore.
E’ praticamente impossibile eliminare il palmitico daIla dieta, l’unica possibilità sarebbe eliminare i grassi. Questo è stato verificato fin dagli anni 30 in modelli sperimentali, per valutare l’essenzialità dei grassi. Ebbene, questi esperimenti hanno dimostrato che in carenza di grassiper ristabilire i livelli fisiologici veniva notevolmente incrementata la sintesi del palmitico e dei suoi metaboliti tramite la de novo lipogenesi.
Come già accennato, anche un forte aumento dell’apporto di palmitico non incrementa i suoi livelli nei tessuti. In poche parole, da un’analisi dei livelli ematici di palmitico non si può determinare una sua eccessiva assunzione, al limite, si rileverà una riduzione di polinsaturi in relazione alla loro relativa ridotta assunzione. Pertanto, un incremento dei livelli di palmitico nei tessuti non ha un’origine dietetica ma è dovuto a uno sregolato aumento della de novo lipogenesi, causata principalmente da insulino-resistenza e inflessibilità metabolica spesso associate a una dieta sbilanciata. Si instaura quindi un circolo vizioso dove la de novo lipogenesi e una ridotta assunzione di polinsaturi, particolarmente gli omega-3, sostengono l’insulino-resistenza, l’inflessibilità metabolica, e maggior suscettibilità all’infiammazione.
Ha senso eliminare l’olio di palma dalla nostra dieta per limitare l’assunzione di grassi saturi?
No, non ha alcun senso. L’indicazione generale è quella di seguire una dieta il più possibile diversificata, senza bandire un nutriente o uno specifico alimento. Volendo attenersi alle raccomandazioni ufficiali di mantenere il consumo di grassi saturi entro il 10% delle calorie giornaliere sarebbe sufficiente diversificare l’alimentazione incrementando se necessario l’assunzione dei polinsaturi, in particolare gli omega-3 EPA e DHA, visto che nella popolazione italiana c’è un apporto non sufficiente di questi acidi grassi.
La prospettiva della nutrizione sostenibile offre un approccio nuovo e olistico alla lotta contro la malnutrizione e in termini di sostegno alla salute e al benessere per la popolazione del pianeta. Il campo della ricerca sulla nutrizione sta facendo passi da gigante confutando diversi “dogmi” del passato e luoghi comuni , come quello sugli effetti dannosi degli acidi grassi saturi o che esistano alimenti da evitare.
In questo senso, è necessaria una comunicazione efficace, più accurata scientificamente e meno aneddotica per mantenere la popolazione informata e permettere, a chi ha responsabilità politiche, di promuovere iniziative in grado di incidere significativamente sulla salute di noi tutti e del pianeta.