Olio di palma tra nutrizione e produzione sostenibile. Questi i temi al centro del webinar organizzato lo scorso 5 ottobre dall’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso dall’Asvis.
L’incontro aveva l’obiettivo di discutere su una delle più importanti sfide del futuro: come conciliare alimentazione sana, tutela dell’ambiente e del territorio e soprattutto soddisfare la richiesta di cibo di una popolazione mondiale in crescita, riducendo contemporaneamente il problema della sottonutrizione che ancora coinvolge una significativa parte della stessa. Si tratta di tre necessità urgenti ma anche divergenti tra loro, e la grande sfida, come ha sottolineato anche Mauro Fontana presidente dell’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, è trovare soluzioni di compromesso tra aumento della produzione di alimenti e la riduzione dell’impatto sull’ambiente trovando il giusto equilibrio a livello globale.
Gli esperti riuniti dall’Unione sono stati chiamati ad approfondire questi temi e provare a capire se e come l’olio di palma sostenibile possa rappresentare una delle leve utili per rispondere a questa call to action.
Il prof. Carlo Alberto Pratesi, ordinario di Marketing, Innovazione e Sostenibilità presso l’Università Roma Tre, ha moderato gli interventi degli autorevoli esperti chiamati a dare il proprio contributo scientifico.
È stato prima di tutto interpellato Erik Mejiaard a capo della IUCN Oil Palm Task Force, Direttore del Borneo Futures, Professore della University of Queensland e del Durrell Institute of Conservation and Ecology. Secondo Mejiaard non ci sono soluzioni semplici a situazioni complesse, il punto è che l’aumento della popolazione determina necessariamente un aumento della domanda di grassi alla quale va data una risposta sostenibile. “La ricerca è già in corso – ha affermato Mejiaard – stiamo mappando le aree globali occupate dalle coltivazioni di piante da olio, come la palma, il cocco o il girasole per capire qual sia il loro impatto sull’ambiente. Per le popolazioni più povere è fondamentale rendere loro accessibili le fonti di grassi vegetali, vediamo infatti come in tutta la fascia subtropicale si stia sviluppando la produzione di olio di palma, che rispetto ad altre colture ha una resa per ettaro notevolmente superiore alle altre colture oleaginose. Lo sforzo consiste nel soddisfare la domanda globale di cibo in modo sostenibile, accessibile e nutrizionalmente valido.”
La complessità del problema richiede studio e ricerca seria, non si può pensare di risolverlo semplicemente eliminando l’olio di palma, perché non si farebbe altro che spostarlo verso altre aree.
“Fortunatamente le cose stanno cambiando e i media, le politiche internazionali e l’opinione pubblica, ora non puntano più il dito in modo incondizionato contro l’olio di palma, ma guardano con attenzione all’impatto ambientale di tutte le produzioni – ha concluso Mejiaard dopo aver illustrato i risultati di un lavoro scientifico recentemente pubblicato su Frontiers in Nutrition [1] – Il messaggio chiave è che a volte bisogna sacrificare qualcosa perché le strategie win-win non funzionano”.
A questo punto pare chiaro come la sostenibilità e l’impatto ambientale di un bene o prodotto non possano più essere solo un “nice to have” ma giochino un ruolo chiave decisionale e come l’olio di palma sostenibile abbia un peso fondamentale nell’economia mondiale e soprattutto dei paesi in via di sviluppo. Sono stati interpellati a questo proposito anche Maria Vincenza Chiriacò e Matteo Bellotta del Centro Euro Mediterraneo per i Cambiamenti Cimatici – Fondazione CMCC, che hanno presentato i risultati di uno studio [2] sugli impatti socioeconomici della produzione dell’olio di palma sostenibile recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Research Letters .
Dalla review, in sintesi, è emerso che l’olio di palma sostenibile supporta l’economia dei Paesi produttori, aiuta a diminuire i tassi di povertà e permette un miglioramento nell’accesso al cibo. Emergono d’altro canto ancora delle criticità legate soprattutto all’accesso alla terra, quindi ad una minore riduzione delle disuguaglianze relative alle comunità locali, alla gender equality, e alle condizioni di lavoro. Tuttavia, secondo CMCC, gli schemi di certificazione di sostenibilità hanno migliorato la situazione e sono considerati come la soluzione a queste criticità.
CMCC ha inoltre annunciato la prossima pubblicazione di un nuovo lavoro scientifico che analizza gli impatti ambientali gli oli vegetali in termini di emissioni di gas ad effetto serra attraverso un Life Cycle Assessment ma anche degli effetti potenziali dei cambi di uso del suolo – incluso anche il rischio di deforestazione – che potrebbero derivare dalla sostituzione dell’olio di palma con altri oli o se si continuasse ad utilizzare l’olio di palma ma prodotto in maniera sostenibile.
Ogni scelta ha un suo trade off, ogni soluzione ha dei pro e dei contro quindi la difficoltà per gli scienziati è proprio capire qual è la combinazione migliore, ma anche in questo caso la varietà sembra essere la soluzione migliore, e non solo dal punto di vista ambientale. Il conflitto russo-ucraino e la conseguente carenza di olio di girasole hanno dimostrato che non è sostenibile dipendere da una sola filiera produttiva.
Nei paesi sviluppati dove si vive uno stato di sovralimentazione, i grassi tendono ad essere demonizzati, ma in realtà questi sono nutrienti essenziali se assunti nell’ambito di una dieta equilibrata. Le principali raccomandazioni nutrizionali attualmente suggeriscono di limitare l’assunzione di grassi saturi. Tuttavia, la letteratura scientifica più recente ha messo in discussione il loro impatto negativo sullo sviluppo di sovrappeso, sindrome metabolica e diabete di tipo 2 e raccomanda che le linee guida nutrizionali dovrebbero essere incentrate sul tipo di alimento piuttosto che sui singoli nutrienti.
Sebastiano Banni, professore ordinario di fisiologia presso l’Università di Cagliari, ha presentato i risultati di un interessante paper[3] che ha approfondito il tema dei grassi soffermandosi sul ruolo dei grassi saturi ed in particolare sull’acido palmitico, chiarendone l’importante ruolo fisiologico per il nostro organismo.
L’acido palmitico – ha spiegato il prof Banni – è tra i più comuni acidi grassi nel nostro organismo. Nel corpo di un uomo di 70 kg sono presenti almeno 3,5 kg di acido palmitico. La quantità di acido palmitico che si assume attraverso la dieta è minima (circa 20 g al giorno) una goccia nel mare rispetto al quantitativo naturalmente presente nel nostro corpo. Inoltre, l’acido palmitico è presente in moltissimi alimenti di consumo abituale, basti pensare che nella comune alimentazione mediterranea le principali fonti di acido palmitico sono i latticini e l’olio di oliva e non l’olio di palma.
Secondo il prof. Banni è impossibile quindi immaginare una dieta priva di acido palmitico, che risulterebbe in ogni caso inutile se non dannosa per la salute, visto che questa componente nutrizionale gioca un ruolo fondamentale per l’organismo, nel quale svolge numerose funzioni fisiologiche, al punto tale che il corpo umano è in grado di sintetizzarlo in modo endogeno. Eliminare l’olio di palma dalla nostra dieta non avrebbe quindi alcun senso.
Quello che invece è importante sottolineare – ha aggiunto il prof. Banni citando uno studio pubblicato su Nature – è che la migliore dieta anche dal punto di vista della sostenibilità è la dieta flexitarian, che non è altro che una dieta varia e bilanciata, che non esclude nessun tipo di alimento e nessun nutriente. Purtroppo, spesso si preferisce la politica del “senza”, che anche in termini di salute pubblica non porta alcun vantaggio.
L’obiettivo zero deforestazione ha assunto un ruolo centrale nelle strategie di molte aziende che indirizzano i loro sforzi nel diminuire il loro impatto ambientale e concorrere alla lotta contro la deforestazione. Deforestazione che è stata determinata in passato anche dall’espansione della palma da olio, contribuendo alla sua immagine negativa, che persiste nonostante i notevoli progressi compiuti negli ultimi anni dalla filiera , documentati da numerosi studi promossi da ONG e Centri di Ricerca.
Ad illustrare questi progressi è stato invitato Niels Wielaard, Ceo e fondatore di Satelligence, che combinando conoscenze sul campo, modellazione predittiva basata sull’intelligenza artificiale e telerilevamento fornisce dati alle organizzazioni interessate a monitorare le supply chain.
Wielaard ha osservato innanzitutto che, contrariamente a quanto si legge sui media e a quello che narrano le campagne di boicottaggio, i dati mostrano chiaramente che l’olio di palma non è la principale causa di deforestazione nel mondo, e che sono altre le commodities più impattanti. Inoltre, le immagini catturate dai satelliti ci dicono che la deforestazione causata dalla palma da olio è in netto calo dal 2015, da quando cioè l’industria e i governi dei principali paesi produttori, ovvero Indonesia e Malesia, si sono presi l’impegno di salvaguardare concretamente le foreste e promuovere lo sviluppo della filiera dell’olio di palma sostenibile. I dati evidenziano che anche all’interno delle concessioni vengono tutelate le aree forestali.
I dati satellitari in sostanza dimostrano che la reputazione negativa dell’olio di palma non è più giustificata da evidenze scientifiche, al contrario la filiera dell’olio di palma sostenibile può essere considerata un esempio per come sta controllando e riducendo il proprio impatto sulla deforestazione.
Wielaard ha spiegato che oggi la tecnologia ci permette di monitorare con molta precisione quanto succede sul campo, individuando tempestivamente anche le situazioni a rischio, e consentendo a ricercatori, organismi di controllo e soprattutto alle imprese che intendono tracciare la loro catena di fornitura, di intervenire per porre rimedio a illeciti e pratiche scorrette da parte dei soggetti a monte delle filiere delle commodities a rischio deforestazione.
L’evento si è concluso con l’intervento del prof. Davide Pettenella (Università degli Studi di Padova, Dipartimento Territorio e sistemi agro-forestali).
Partendo da alcuni dati di scenario sulla deforestazione importata dall’Unione Europea, Pettenella ha illustrato la proposta di regolamento comunitario, ancora in fase di discussione, che regolerà l’importazione di una serie di prodotti a rischio deforestazione, tra cui l’olio di palma, Si potranno quindi importare solo prodotti deforestation-free, controllati e tracciati lungo tutta la filiera, per i quali gli operatori dovranno dimostrare, attraverso un sistema di due diligence e tracciabilità, la provenienza da aree non deforestate o soggette a degrado forestale.
Nel rimarcare l’importanza di questi e altri interventi dell’Unione Europea in ambito forestale, il professor Pettenella ha posto anche l’accento sulle possibili problematiche che potrebbero emergere con l’applicazione della normativa. Le grandi aziende hanno già messo in atto procedure di tracciabilità, mentre le piccole medie imprese avranno più difficoltà nel fronteggiare l’alto carico amministrativo-burocratico imposto dalla normativa. Si paventa inoltre il rischio che il regolamento possa portare alla creazione di un mercato dualistico, influenzato da differenti risorse, capacità, e sensibilità ai temi della sostenbilità. Sarà quindi necessario – raccomanda il Prof. Pettenella – individuare nuovi strumenti condivisi per consentire l’implementazione su larga scala della nuova normativa, trovando spazi di dialogo nelle sedi più appropriate anche con i paesi produttori. Occorre inoltre riflettere anche su come gli strumenti volontari già messi in atto da imprese e società civile che si sono già dimostrati efficaci (come ad esempio RSPO) dovranno essere affiancati dai nuovi strumenti normativi vincolanti.
Come ha sottolineato il prof. Pratesi nel suo intervento conclusivo, in sintesi sono tre gli aspetti principali emersi:
Assicurare cibo di qualità per tutti senza arrecare danni al pianeta rappresenta una issue davvero urgente quanto complessa. Non esistono risposte semplici e soluzioni immediate. Ogni scelta ci espone inevitabilmente a trade off e possibili effetti boomerang: basti pensare alla guerra all’olio di palma che ha portato la maggior parte degli utilizzatori a orientarsi verso l’olio di girasole con le relative problematiche legate al fatto di avere un’unica fonte di approvvigionamento. Occorrono valutazioni più ampie, scelte diversificate che tengano conto di tutti gli aspetti, di salute, economici e ambientali, che queste scelte comportano.
La seconda considerazione importante, secondo il prof. Pratesi, è che non possiamo prescindere da una base scientifica rigorosa dalla quale trarre le nostre considerazioni. Troppo spesso ci basiamo su informazioni non confermate dalla scienza e talvolta, cosa ancora più grave, prendiamo decisioni politiche sulla base di ideologie, opinioni o atteggiamenti non circostanziati.
Il terzo punto è che l’innovazione per la sostenibilità ha un ruolo molto rilevante, non solo l’innovazione tecnologica ma anche dal punto di vista normativo. Se vogliamo cambiare il modo in cui produciamo consumiamo distribuiamo dobbiamo contrastare le resistenze delle aziende e delle comunità. Le evidenze scientifiche, le conseguenti scelte politiche e gli strumenti attuativi vanno comunicati correttamente affinché vengano comprese. E anche in questo caso si tratta di innovazione, in termini di comunicazione.
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Rassegna Stampa:
Sviluppo sostenibile, l’olio di palma tra nutrizione e produzione
Alimentazione, salute e ambiente: alla ricerca del giusto equilibrio
Riferimenti:
[1] Meijaard E, Abrams JF, Slavin JL and Sheil D (2022) Dietary Fats, Human Nutrition and the Environment: Balance and Sustainability. Front. Nutr. 9:878644. DOI: 10.3389/fnut.2022.878644
[2] Maria Vincenza Chiriacò et al, Palm oil’s contribution to the United Nations sustainable development goals: outcomes of a review of socio-economic aspects, Environmental Research Letters (2022). DOI: 10.1088/1748-9326/ac6e77
[3] C. Agostoni, S Boccia, S Banni, P.M. Mannucci, A Astrup, Sustainable and personalized nutrition: From earth health to public health, European Journal of Internal Medicine, February 25, 2021, DOI: 10.1016/j.ejim.2021.02.012