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05/10/2016

I numeri della sostenibilità: per coltivare olio di palma servono meno terreni, acqua e pesticidi

 

I numeri della sostenibilità:

per coltivare l’olio di palma servono 6 volte meno terreni rispetto al girasole e 15 volte meno pesticidi della colza

 

L’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile risponde ai dubbi e chiarisce alcuni luoghi comuni su questo ingrediente. Allocca, Pres. Unione: “Il palma è un olio utile e sicuro, da sempre usato in tutti i paesi europei ed extraeuropei, senza limitazioni. Inoltre il palma è più sostenibile degli altri oli vegetali, perché la sua produzione impiega meno terreni, acqua fertilizzanti e pesticidi”.

 

Roma 05/10/2016 – Sapete che se voleste sostituire l’olio di palma con altri oli vegetali servirebbero molti più terreni di quanto facciamo oggi per produrre le medesime quantità? Qualche esempio? Se volessimo sostituire il palma con la colza ci servirebbero 5 volte in più di terreni per avere la stessa quantità di olio … che salirebbero a 6 volte di più per il girasole e addirittura a 9 volte più per la soia o a 11 in più per l’olio di oliva! Insomma, per ottenere lo stesso quantitativo di olio di palma con la soia, servirebbe una superficie pari a 5 volte l’Italia, un’enormità. Discorso analogo vale per i pesticidi. Il palma impiega circa 2 Kg a tonnellata di pesticidi, molto meno della colza (11kg/t) o della soia (29kg/t). E che dire dell’uso di fertilizzanti? Anche in questo caso il palma è da medaglia d’oro nella classifica degli oli vegetali: per ottenere una tonnellata di olio, il palma necessita di 47 kg di fertilizzanti, mentre la soia impiega 315 kg. Ma la sostenibilità passa anche dalla quantità di energia utilizzata per la produzione: al palma servono 0,5 GJ (Gigajoule) per una tonnellata, alla colza 0,7 GJ (0,2 GJ in più) e alla soia 2.9 GJ (2,4 GJ in più). Insomma, il palma è il più virtuoso tra gli oli vegetali ed è quindi bene sottolineare che non è l’olio di palma il principale responsabile della deforestazione su scala globale, ma bisogna ragionare nel quadro d’insieme e compararne l’impatto ambientale con le altre colture.

Certo, quando si parla di coltivazioni, quello della deforestazione è un tema molto sentito, ma spesso, nel caso del palma, la percezione del problema, che pure esiste, è spesso lontana dalla realtà. Oggi Malesia e Indonesia sono i due più grandi produttori di palma. Ebbene, secondo i dati FAO (Global Forest Resources Assessment 2015) in Malesia negli ultimi 25 anni non c’è stata praticamente perdita di foresta vergine, nonostante l’incremento di questa cultura sul territorio. Il primo impatto negativo degli anni Novanta è stato pienamente compensato e bilanciato dagli sforzi di riforestazione fatti nell’ultimo decennio. In Indonesia, invece, la foresta equatoriale che è andata persa – soprattutto per l’alta appetibilità del legname pregiato – ammonta a circa 27 milioni di ettari, ossia meno della metà di quanto accaduto, nello stesso arco di tempo, in Brasile e Argentina, i 2 principali Paesi esportatori di olio di soia.

Piccoli esempi concreti che aiutano però a sfatare tanti pregiudizi che circondano la sostenibilità della produzione dell’olio di palma. Sono questi alcuni dei temi affrontati nel corso dell’incontro organizzato a Roma dall’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile dal titolo “Olio di Palma: Parliamone”.

Ma quanto olio di palma si consuma davvero in Italia? E quanto è destinato all’uso alimentare? Fa davvero male alla salute come sostengono alcuni suoi detrattori? Queste sono solo alcune delle domande alle quali sono stati chiamati a rispondere il Presidente dell’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, Giuseppe Allocca, Carlo Alberto Pratesi Professore di Economia e Gestione delle Imprese al Dipartimento di Studi Aziendali dell’Università Roma Tre (che segue per l’Unione le tematiche ambientali e della sostenibilità) e Giorgio Donegani, Tecnologo alimentare e Divulgatore scientifico che si occupa per l’Unione dei temi di salute e nutrizione in relazione al consumo di palma. Recentemente si è parlato tanto dell’olio di palma, affrontando il tema dal punto di vista dell’ambiente e della salute, ma l’argomento è stato spesso generalizzato lasciando spazio a luoghi comuni e banalizzazioni che non trovano riscontro quando si vanno ad approfondire i temi con informazioni scientifiche e dati concreti”, ha dichiarato Giuseppe Allocca, Presidente dell’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile.

“Sull’olio di palma sono diversi i pregiudizi da chiarire, come il fatto che non sia possibile produrlo in modo sostenibile … invece, l’olio di palma certificato sostenibile c’è ed esiste, ed è prodotto coltivando le palme nel rispetto dell’ambiente, preservando il territorio dalla deforestazione e nel pieno rispetto delle popolazioni locali. Tutte le aziende utilizzatrici di palma aderenti all’Unione ormai da anni adoperano olio di palma 100% certificato RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) e puntano, per il 2020, ad adottare criteri di certificazione ancora più stringenti rispetto a quelli attuali già di alto livello. Una scelta precisa che va incontro alla via suggerita dalle grandi organizzazioni internazionali e ambientaliste, come Greenpeace e WWF International, che continuano a considerare il palma come uno degli oli vegetali più sostenibili.

Un’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità che per l’Unione si declina in una definizione chiara e dettagliata di olio di palma sostenibile. Per l’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile l’olio deve avere origini conosciute e quindi tracciabili; deve essere prodotto senza convertire foreste e nel rispetto degli ecosistemi ad alto valore di conservazione, con pratiche colturali rispettose delle foreste ad alto valore di carbonio e con pratiche agricole atte a preservare le torbiere; non deve provenire dalla conversione in piantagioni di aree sottoposte ad incendi volontari; deve essere realizzato proteggendo i diritti di lavoratori, popolazioni e comunità locali, rispettando il principio del consenso libero, preventivo e informato e promuovendo lo sviluppo dei piccoli produttori indipendenti. Ed è questo il palma che i membri dell’Unione si sono impegnate ad acquistare.

D’altronde, il palma è l’olio vegetale più utilizzato al mondo (il 35% circa del totale) e, in un mondo povero di terre, produrlo in modo sostenibile diventa fondamentale. Secondo i dati Istat, nel 2015, in Italia se ne sono importate, per usi alimentari, 386.000 tonnellate: praticamente la stessa quantità di 10 anni fa (nel 2005 erano infatti 325.000). Inoltre, del palma importato in Italia, circa il 25-30% riprende la strada dell’estero, visto che i prodotti in cui viene utilizzato sono uno dei vanti del Made in Italy richiesti un po’ in tutto il mondo. Insomma, se a questo aggiungiamo che negli anni è stato utilizzato in sostituzione degli acidi grassi trans e che è dotato di alcune caratteristiche che lo rendono unico tra gli oli vegetali, si capisce perché il palma rappresenti un ingrediente importante per l’industria alimentare.

“E’ vero, il palma è utilizzato in numerose preparazioni alimentari e proprio per questo motivo i detrattori hanno provato a demonizzarlo accusandolo di contribuire in modo eccessivo all’intake di grassi saturi” conclude Allocca, “ma, guardando ai dati più recenti, è evidente che questo ingrediente contribuisce per meno del 20% della quantità di grassi saturi che assumiamo giornalmente. Il restante 80% viene invece da altri alimenti… insomma, è stato creato allarmismo ingiustificato su un ingrediente e oggi abbiamo voluto fare chiarezza anche su questo punto”.

SOSTENIBILITA’ E CERTIFICAZIONE: DUE CARATTERISTICHE CHE FANNO LA DIFFERENZA

Insomma, il tema della sostenibilità della produzione dell’olio di palma è veramente cruciale. Carlo Alberto Pratesi ha fornito alcune informazione che hanno permesso di inquadrare meglio lo scenario attuale:

Si pensa che l’olio di palma sia prodotto da grandissime aziende, ma in realtà almeno il 40% della produzione è riconducibile a piccolissimi agricoltori che a volte sono usciti dalla soglia di povertà grazie a questa coltivazione. Quello che dovremmo fare per aiutare queste popolazioni a non perdere il benessere raggiunto è educarle e spingerle ad un tipo di produzione sostenibile. Oggi esiste un modo per assicurarsi che l’olio utilizzato sia realizzato secondo criteri sostenibili ed è la certificazione. Al momento lo standard di certificazione maggiormente riconosciuto e utilizzato a livello globale è quello RSPO che garantisce che l’olio certificato è realizzato tutelando l’ambiente, la bio-diversità e i diritti dei lavoratori. E’ un segnale molto importante che testimonia quanto la certificazione possa fare la differenza soprattutto perché, utilizzando olio di palma certificato sostenibile, si può incidere sui Paesi produttori e sugli altri grandi Paesi utilizzatori per sensibilizzare ulteriormente chi non è ancora disposto a seguire questa via”.

Ed è proprio la via della sostenibilità che bisognerebbe seguire a tutto tondo: “Oggi i riflettori sono oggi puntati sul palma, ma è altrettanto vero che l’auspicato aumento di produzione di altri oli alternativi avrà effetti piuttosto negativi sull’ambiente, considerato che hanno comunque un impatto superiore al palma sia in termini di carbonfootprint, waterfoot print ed ecological footprint ossia i tre indicatori più utilizzati per questo tipo di misurazioni. Ci auguriamo che tutte le produzioni agricole, e in particolare quelle legate agli olii vegetali (girasole, soia, mais ecc.) intraprendano un percorso simile in tema di sostenibilità” ha concluso Pratesi.

 

OLIO DI PALMA E ALIMENTAZIONE: NON PRESENTA RISCHI PER LA SALUTE IN UNA DIETA BILANCIATA

In questi mesi si sono moltiplicate le voci che esortano a escludere l’olio di palma dalla dieta quotidiana, in quanto accusato di contribuire in modo significativo all’intake di grassi saturi. Un tema sentito, se si considera che il palma si trova in numerosi prodotti da forno e che, spesso, a consumarne di più sono i più piccoli. Nel corso dell’incontro, Giorgio Donegani ha approfondito il tema, chiarendo alcuni punti:

Le indicazioni dei nutrizionisti sono sintetizzabili in due punti: i grassi saturi servono all’organismo e non dovremmo assumerne troppi. In questo contesto, è importante ricordare che il palma – come tutti gli ingredienti alimentari – non può essere demonizzato tout court, tant’è che la comunità scientifica è concorde nell’affermare che all’interno di una dieta bilanciata, non presenta rischi per la salute e pertanto non c’è motivo di sconsigliarne il consumo purchè non sia eccessivo”.

Ultimo punto chiarito nel corso dell’incontro ha riguardato l’assunzione eccessiva di olio di palma tramite i prodotti per l’infanzia come, per esempio, i latti in polvere. Su questo fronte, Donegani precisa:

“Premesso che l’allattamento al seno è sempre da preferire, c’è una ragione scientifica molto precisa se i latti formulati contengono più oli vegetali opportunamente selezionati per la prima infanzia. I latti formulati sono studiati appositamente per l’alimentazione del lattante in mancanza del latte materno. L’oleina di palma in particolare, contenuta nei principali prodotti per neonati, è una frazione specifica dell’olio di palma che viene utilizzata per apportare acido palmitico, sostanza nutritiva contenuta naturalmente nel latte materno. L’acido palmitico, infatti, è uno degli acidi grassi più presenti nel latte materno (25% circa degli acidi grassi) e l’oleina di palma viene usata proprio per garantire un apporto di questa sostanza nutritiva anche per il lattante che non può essere allattato al seno”.