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13/08/2021

Senza olio di palma: l’etichetta che fa male al consumo responsabile

Senza olio di palma. Perché? Viene da porsi questa domanda nel leggere i dati dell’Osservatorio Immagino GS1 Italy sui prodotti alimentari made in Italy e sulla relativa percezione dei consumatori. Stando al report c’è ancora chi, andando al supermercato, abbocca a quelle etichettature fuorvianti – com’è appunto “senza olio di palma” – pensando di fare del bene al proprio organismo e all’ambiente. Ma come biasimare il consumatore finale quando è vittima di un marketing tanto suadente?

Lo abbiamo detto più volte, ma a quanto pare è opportuno ribadirlo. L’olio di palma è un ingrediente versatile, dal sapore e fragranza neutri. Inoltre non si ossida ed è solido a temperatura ambiente, il che permette di evitare il ricorso a conservanti o grassi vegetali idrogenati che contengono i nocivi grassi trans. Per questo è l’olio piu consumato al mondo e trova largo impiego nell’industria alimentare.

Certo, contiene al 49% grassi saturi, e per questo va assunto nell’ambito di una dieta bilanciata. Perché, come dice Paracelso, è la quantità a far male. Regola che vale per tutti gli alimenti: dal burro, che di grassi saturi ne contiene 51 grammi per ogni etto, alle carni e ai salumi, come da tempo riferito dall’Istituto superiore di sanità. Ma non si sottolinea mai abbastanza che l’olio di palma contiene anche il 51% di grassi insaturi, prevalentemente acido oleico, lo stesso dell’olio di oliva. Diversi esperti, tra cui i nutrizionisti del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), concordano sul fatto che la sostituzione dell’olio di palma con oli vegetali diversi, non garantisce necessariamente un profilo nutrizionale migliore.

C’è poi la questione della sostenibilità. L’olio di palma è accusato di deforestazione e, in quanto monocultura alla pari di soia, grano, caffè e tante altre, della perdita di biodiversità. Nessuno nega gli errori commessi in passato. D’altra parte, va dato atto al crescente sforzo di tutta la filiera nella lotta alla deforestazione ed al recupero e riqualificazione degli habitat naturali e degli equilibri sociali. In Indonesia e Malesia – i due Paesi che da soli coprono l’85% della produzione mondiale di olio di palma – le misure introdotte dai governi locali stanno portando a un concreto contenimento del processo di deforestazione.

 

Le certificazioni di sostenibilità, riconosciute da istituzioni politiche e organismi internazionali e dalle più importanti Ong ambientaliste, quali WWF e Greenpeace, confermano che l’olio di palma prodotto in modo sostenibile è la soluzione. Per inciso: il 93% dell’olio di palma che entra in Italia è sostenibile e certificato. 

Tutto questo purtroppo il consumatore finale non lo sa. La stessa cosa non si può dire per la classe politica e le istituzioni, presso le quali emerge una sempre maggior consapevolezza dell’efficacia delle certificazioni di sostenibilità introdotte dai soggetti privati per la produzione e il commercio, appunto, di olio di palma, e non solo, come parte di uno smart mix di misure efficaci per garantire l’eliminazione della deforestazione e degli impatti negativi dalle filiere, come l’obbligo di “due diligence”.

Ora, forse non è compito della politica sfatare dei luoghi comuni. Crediamo però che sia compito delle istituzioni europee e nazionali difendere le realtà produttive trasparenti dai preconcetti ideologici. E spiegare che “senza olio di palma” è un’etichetta fuorviante e priva di senso.