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26/01/2017

Deforestazione: siamo certi di conoscere i veri colpevoli?

 

Carlo Alberto Pratesi

Carlo Alberto Pratesi

Che le foreste siano una risorsa da proteggere a tutti i costi è un dato di fatto. E questo non solo perché sono lo scrigno che protegge gran parte della biodiversità mondiale, ma anche perché sono il nostro unico alleato nella difficile guerra contro il risaldamento globale. E’ ovvio pertanto che occorra contrastare qualunque azione dell’uomo che possa danneggiarle, costringendo tutte le industrie che su tale risorsa basano la loro economia, ad adottare processi sostenibili che riducano, fino a eliminare del tutto, qualunque tipo di deforestazione.

A tal proposito abbiamo affrontato l’argomento con Carlo Alberto Pratesi – Professore di Economia e Gestione delle Imprese al Dipartimento di Studi Aziendali dell’Università Roma Tre.

Sul banco degli imputati, negli ultimi anni, abbiamo visto soprattutto l’olio di palma: senza dubbio l’attività agricola presa maggiormente di mira da chi si occupa di conservazione dell’ambiente. Attivisti, scienziati e opinion leader hanno posto l’attenzione sul danno arrecato alle foreste pluviali da parte dei produttori di olio, soprattutto in Malesia e Indonesia.

Essere sotto attacco,  al di là dei toni spesso esacerbati della discussione, è stato in fin dei conti un bene, anche per la stessa industria: se non ci fosse stata questa straordinaria attenzione da parte dell’opinione pubblica, probabilmente non sarebbe nata la certificazione di sostenibilità (che oggi riguarda, almeno in Italia, la quasi totalità dell’olio di palma usato ai fini alimentari) e la produzione, che continua a crescere più o meno stabilmente a un ritmo di +7% anno, avrebbe determinato ulteriori impatti negativi sulle foreste.

A questo punto però c’è da domandarsi se la campagna contro l’olio di palma sia ancora – ammesso che sia mai stata – la giusta priorità di chiunque voglia agire in difesa delle foreste.

Non ne è affatto convinto Doug Boucher (scientific advisor Tropical Forests & Climate Initiative, che sin dal 2007 ha partecipato alle negoziazioni sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) il quale, in uno suo recente articolo dal titolo “Are Business’ Zero-Deforestation Palm Oil Pledges Being Kept_ Here’s How We’ll Know – Union of Concerned Scientists, commenta i risultati di uno studio pubblicato da Climate Focus, rilevando come ci possa essere stato un eccesso di zelo da un lato, e una colpevole disattenzione verso gli altri imputati della deforestazione. I numeri in effetti sono chiari: se si mettono in elenco le principali cause di deforestazione a livello mondiale, al primo posto c’è l’allevamento (pascoli e foraggi). Più in basso, a notevole distanza, si piazza la coltivazione di soia, poi il mais e infine la palma da olio il cui impatto è meno di un decimo rispetto alla filiera della carne (vedi figura 1).

 

Deforestazione: siamo certi di conoscere i veri colpevoli?

“Certo, c’erano buone ragioni per focalizzarci sull’olio di palma. Alcune molto razionali e basate su dati reali — la coltivazione stava crescendo rapidamente insieme ai consumi globali, provocando anche a causa della torba presente nei terreni il rilascio di consistenti quantità di Co2. Altre erano più legate ad aspetti emozionali (gli orango, minacciati da questo tipo di coltivazione, sono animali affascinanti e adorabili). Ma il risultato finale era che stavamo chiedendo di azzerare l’impatto a un’industria che non è mai stata la causa principale della deforestazione”.

Di certo il palma ha avuto, soprattutto, in passato la responsabilità di ridurre superfici di alto valore ambientale (foreste tropicali), ma ora questo danno si è molto mitigato, grazie anche a gli impegni presi dalle aziende del settore (oggi quelle virtuose sono il 59%).

Nel frattempo i produttori degli altri comparti (in particolare carne, soia e legname) cosa hanno fatto? Poco, se si considera che solo il 12% delle imprese del comparto zootecnico ha preso impegni in materia di deforestazione. Sembra quasi che ci sia una relazione inversa tra dimensione del danno arrecato e impegno del settore nel ridurlo. Può essere che qualcuno si sia distratto? Forse è ora che gli ambientalisti si occupino, almeno con lo stesso zelo adottato per il palma, di chi sta in testa alla classifica dei deforestatori.