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11/11/2022

Certificazione e comunicazione: come promuovere l’olio di palma sostenibile

“I temi della certificazione di sostenibilità ambientale e sociale e della comunicazione sono cruciali perché sono i due pillar che sostengono la diffusione dell’olio di palma sostenibile: occorre evidenziare come la sostenibilità certificata sia garanzia concreta di quanto dichiarato. Solo rassicurando i cittadini e le istituzioni sulla reale capacità dell’olio di palma sostenibile di non essere causa di deforestazione e di impatti negativi sotto il profilo etico e sociale riusciremo a far sì che i volumi di olio di palma sostenibile, che oggi nel mondo rappresentano il 19% della produzione mondiale di olio di palma, possano incrementare fino a raggiungere la totalità”.

Il Presidente Mauro Fontana ha aperto così i lavori del secondo incontro organizzato lo scorso 6 ottobre dall’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile in occasione del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso da ASviS.

 

Il ruolo della certificazione

Chi definisce gli standard di sostenibilità

Entrando nel merito della certificazione Francesca Morgante, Senior Manager Market Transformation Europe di RSPO, ha presentato la Roundtable on Sustainable Palm Oil, un’organizzazione internazionale no profit i cui oltre 5000 soci appartengono a tutta la filiera dell’olio di palma (produttori organizzati in grandi piantagioni, piccoli proprietari indipendenti, trasformatori, aziende di produzione di beni di consumo di qualsiasi categoria merceologica, retailers, settore bancario degli investimenti, organizzazioni non governative sociali e ambientali). RSPO dal 2004 si è data l’obiettivo di definire cos’è l’olio di palma sostenibile e a far sì che che questa definizione sia sempre rilevante e risponda alle aspettative di tutti gli stakeholder definendo degli standard di certificazione di sostenibilità ambientale e sociale: i Principi e Criteri e l’Independent Smallholder Standard che si applicano rispettivamente ai produttori e ai piccoli proprietari indipendenti, la Supply Chain Certification che si applica agli utilizzatori. I primi due standard definiscono quelli che sono i criteri necessari per far sì che l’olio di palma possa essere prodotto senza danneggiare l’ecosistema e le comunità locali. Vietano la deforestazione, lo sviluppo di nuove piantagioni sulle aree di torbiera e l’utilizzo degli incendi per liberare spazio agricolo, e dettano criteri specifici per la protezione dei diritti dei lavoratori e dei diritti umani e per garantire un salario equo, promuovendo anche anche il benessere e lo sviluppo socio-economico delle comunità locali. La Supply Chain Certification garantisce che l’olio di palma prodotto in maniera sostenibile venga poi anche tracciato lungo la catena di approvvigionamento fino all’ultimo utilizzatore. Gli standard RSPO sono dinamici e vengono sottoposti ogni 5 anni a una revisione per tenere conto delle aspettative crescenti in termini di criteri restrittivi e dei cambiamenti necessari. Attualmente è in corso la fase di consultazione pubblica della revisione 2022/23 che è aperta ai contributi di tutti gli stakeholder, comprese le ong. Il processo terminerà nel 2023 con un nuovo standard P&C.

Le aziende che utilizzano la certificazione RSPO per valori in cui credono, per avere comunque accesso a mercati che richiedono la certificazione e anche per comunicarlo ai consumatori, anche se non è semplice far passare messaggi corretti al grande pubblico.

“Sia in Europa che nel resto del mondo le domande di utilizzo di licenza del marchio di Rspo sono raddoppiate nel giro di un anno, le aziende richiedono a Rspo di utilizzare il marchio sia per la comunicazione corporate sia per comunicazioni di prodotto. L’Italia si è sempre posizionata molto bene nell’utilizzo del marchio e oggi è il quinto paese al mondo e il terzo in Europa per numero di aziende associate a Rspo. Sono oltre 230 le realtà produttive italiane che hanno aderito alla nostra organizzazione – ha commentato Francesca Morgante – Molte aziende italiane sono export-oriented e le merci prodotte in Italia con il marchio RSPO finiscono sui mercati europei o americani dove l’accettazione dell’olio di palma sostenibile è stata meno ostacolata dal dibattito pubblico. Ci auguriamo per il futuro un miglioramento nella percezione dei consumatori italiani.”

Secondo i dati di RSPO, c’è una crescente attenzione del comparto cosmetico e della detergenza e anche nel settore della ristorazione collettiva, mentre stenta a decollare il settore della mangimistica.

Come ha sottolineato anche il Prof. Carlo Alberto Pratesi, ordinario di Marketing, Innovazione e Sostenibilità (Università Roma Tre), e moderatore dell’evento, i retailers con le loro marche commerciali possono essere la locomotiva di un cambiamento, perché se una catena commerciale detta una policy di approvvigionamento di olio di palma sostenibile impone una trasformazione dell’intera filiera dei fornitori, senza contare che avendo un contatto diretto con il consumatore hanno la possibilità di comunicare in modo diretto.

“Purtroppo c’è stata molta esitazione da parte dei retailers italiani ad attuare una comunicazione efficace e trasparente sull’olio di palma sostenibile, a parte qualche eccezione, come Carrefour Italia.” ha osservato Francesca Morgante, che ha concluso il suo intervento  ricordando che “i requisiti di sostenibilità e tracciabilità per l’olio di palma e per altre commodities alimentari a rischio deforestazione si faranno più stringenti a livello comunitario e quindi le aziende che hanno già adottato sistemi di certificazione avanzati come quelli di RSPO avranno sicuramente degli strumenti in più per adeguarsi al nuovo regolamento europeo sui prodotti a deforestazione zero.”

Chi rilascia la certificazione di sostenibilità

E’ importante chiarire che la sostenibilità dell’olio di palma secondo lo standard di RSPO viene certificata da enti terzi indipendenti accreditati a livello internazionale dall’ASI, secondo norme ISO, quindi è garantita la massima rigorosità. Lo ha spiegato Michela Coli, responsabile degli schemi di certificazione Rspo per ICEA, ente di certificazione riconosciuto da RSPO e ASI, leader in Italia con ben 91 stabilimenti certificati su un totale di 195 siti certificati RSPO in Italia.

L’ente di certificazione ha il compito di verificare che tutta di catena di fornitura rispetti lo standard RSPO per la Supply Chain e attestare che l’olio di palma utilizzato provenga da piantagioni certificate. Il lavoro fondamentale che viene fatto è proprio sulla tracciabilità di filiera fino alla piantagione o comunque fino alla prima estrazione. L’olio di palma si può definire sostenibile solo quanto l’intera catena di distribuzione, dalla piantagione all’utilizzatore finale, è certificata. Michela Coli segnala che “Tra le principali problematiche si osserva il mancato riconoscimento da parte del cliente e del consumatore ma si nota comunque un aumento di richieste di adesioni in particolare nel settore non food, legato sia ad una maggiore sensibilizzazione del mercato ma anche dal fatto che ormai altre certificazioni del settore cosmetico, come ad esempio il COSMOS prevedono tra i requisiti di certificazione che le materie prime a base palma siano certificate RSPO”.

 

L’esperienza di Carrefour Italia

A chiudere il panel dedicato al tema della certificazione è stato ascoltato è stata invitata Marta Casella, CSR Manager di Carrefour Italia, che ha raccontato il percorso dell’insegna in tema di sostenibilità ed in particolare in relazione all’utilizzo dell’olio di palma sostenibile. La scelta di Carrefour, sia a livello internazionale che a livello italiano, è di mantenere l’olio di palma su alcuni prodotti ma passando a un olio di palma certificato sostenibile

“Carrefour Italia – ha spiegato Marta Casella – ha avuto un approccio molto diverso in tema di olio di palma sostenibile rispetto alla maggior parte delle altre aziende italiane del settore retail. Abbiamo adottato una strategia precisa di Transizione Alimentare, con la quale intendiamo promuovere consumi più consapevoli, e uno dei pilastri è quello di rendere sostenibili il 100% gli approvvigionamenti delle filiere che possono causare deforestazione (carte e cartoni, soia, cacao e olio di palma) entro il 2025, con un piano di riduzione del rischio. In particolare, ci siamo impegnati a raggiungere il 100% di palma certificato sostenibile segregato nei prodotti a marchio Carrefour ”.

 L’impegno di Carrefour per la filiera sostenibile parte da lontano. L’adesione a RSPO del gruppo Carrefour risale addirittura al 2006, e Carrefour Italia ha iniziato a lavorare sulla propria catena di fornitura quasi 10 anni fa. Marta Casella concorda sul fatto che alcuni fornitori che hanno difficoltà ad approcciarsi alle filiere sostenibili e osserva che un retailer come Carrefour, grazie anche al supporto di organismi come ICEA e RSPO può condividere delle best practice e accompagnare i fornitori in questo cambiamento allineandoli ai propri obiettivi di sostenibilità e guidando la trasformazione del mercato italiano.

“Anche tra i consumatori il livello di sensibilità sta crescendo, sono sempre più attenti a moltissimi temi. Il tema della deforestazione va affrontato con la certificazione e comunicato in modo corretto, in modo che essi possano capire cosa c’e dietro la certificazione ed il suo valore aggiunto, e non certo con la messa al bando di alcune filiere” ha concluso Marta Casella.

Il ruolo della comunicazione

La seconda parte del webinar è stata dedicata al secondo, ma non per importanza, tema dell’evento: la comunicazione, e si è aperto con l’intervento della Prof. Guendalina Graffigna, ordinario di psicologia dei consumi e direttore del Centro di ricerca EngageMinds Hub dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

La prof. Graffigna ha presentato e discusso i risultati del progetto di ricerca condotto da EngageMinds HUB su un campione rappresentativo della popolazione italiana che ha affrontato il tema dell’olio di palma attraverso le lenti della psicologia dei consumi per comprendere i motivi che determinano i comportamenti di consumo, offrendo spunti di riflessione utili a promuovere scelte più informate e responsabili. “Rispetto all’olio di palma sostenibile – ha commentato Guendalina Graffigna – emerge un atteggiamento positivo: più del 30% del campione pensa che i prodotti con olio di palma sostenibile siano più rispettosi dell’ambiente rispetto a quelli con olio convenzionale, mentre un 23% di consumatori ritiene che i prodotti con olio di palma sostenibile siano una truffa, questo atteggiamento diventa ancora più marcato tra gli intervistati che riportano una spiccata mentalità complottista”.

Sicuramente la parola sostenibilità oggi richiama una valutazione generalmente positiva, tuttavia il consumatore ha una rappresentazione sociale un po’ vaga di cosa sia davvero sostenibilità e c’è comunque il sospetto che le dichiarazioni di sostenibilità possano celare degli interessi di profitto o quantomeno delle informazioni non totalmente veritiere, tanto è vero che la paura che dietro l’etichetta di olio di palma sostenibile si celi una truffa che diventa ancora più marcata tra i rispondenti più scettici.

L’olio di palma sostenibile viene astrattamente accolto come un valore aggiunto tanto che i consumatori – soprattutto i più giovani – si dichiarano anche disponibili a pagarlo di più, indipendentemente dal loro livello di reddito.

In conclusione, chi sono quindi i consumatori potenziali di olio di palma sostenibile e come arrivare poi a comunicare con essi? Secondo la Prof. Graffigna “Sono gli innovatori, consapevoli fortemente predisposti alla sperimentazione e capaci di conoscere le fake news alimentari e che hanno un minore atteggiamento complottista”.

La ricerca mostra quindi un’apertura positiva rispetto al decennio precedente di demonizzazione. “I dati analizzati infine danno l’indicazione che probabilmente è arrivato il momento di aprire un nuovo contratto comunicativo con l’opinione pubblica in merito all’olio di palma sostenibile” ha concluso la Prof. Graffigna.

 

Un nuovo contratto comunicativo riguardo l’olio di palma sostenibile

Le conclusioni finali dell’intervento di Guendalina Graffigna incontrano il pensiero del Prof. Michele Antonio Fino, docente di Diritto Europeo presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, che ritiene che sia un buon momento per attivare una comunicazione efficace ed esaustiva sull’olio di palma sostenibile, in particolare verso i giovani che, per età, 10 anni fa non hanno preso posizione contro l’olio di palma facendone una ideologia, dalla quale recedere è più difficile.

“Dal punto di vista del giurista la battaglia contro l’olio di palma è scandita da un atto che regola la nostra il nostro rapporto con il cibo in maniera molto profonda perché quando nel regolamento 1169 del 2011 si è deciso che tutte le fonti di grassi vegetali dovessero essere esplicitamente dichiarate in etichetta. Una battaglia che aveva alle spalle degli interessi di alcuni Stati membri dell’Unione Europea grandi produttori di oleaginose di specie vegetali – ha commentato il prof. Fino – Il fatto che i più giovani siano disponibili a un nuovo contratto comunicativo riguardo all’olio di palma sostenibile non dipende soltanto dalla loro maggiore freschezza mentale rispetto ai boomer ma anche dal fatto che 10 anni fa non si sono schierati, cioè non hanno fatto del dire no all’olio di palma un elemento della propria identità politica. Per quelli che invece si sono schierati oggi cambiare idea significherebbe implicitamente ammettere di essersi sbagliati. Questo è un problema politicamente e, conseguentemente, legislativamente, estremamente grave, perché tutte le volte che un tema tecnico viene polarizzato si formano movimenti di opinione nel paese che poi rendono di fatto impossibile, stante la democraticità dei nostri modelli regolatori, arrivare a soluzioni nuove condivise, perché non si riesce a far fare la retromarcia alle persone che pure riconoscerebbero le nuove informazioni. Gli stessi media continuano a diffondere informazioni superate se non addirittura fake news”.

Secondo il Prof Fino sarebbe importante chiarire qual è la soglia temporale che consente di qualificare come sostenibile la coltivazione che avviene sul terreno un tempo occupato dalla foresta, unico punto debole sul quale si insinuano le critiche dei detrattori dell’olio di palma.

 

Il ruolo delle ONG e della società civile

Tra le accuse mosse contro l’olio di palma forse la prima è stata quella legata al suo impatto negativo sulla biodiversità, ed in particolare sugli oranghi. Michelle Desilets, direttore esecutivo di Orangutan Land Trust, una ONG che si occupa di conservazione degli oranghi da oltre venti anni, nel suo intervento ha sottolineato per comunicare con gli stakeholder a sostegno dell’olio di palma sostenibile occorre il supporto della scienza, il dialogo e la collaborazione con i produttori locali per guidarli nel loro percorso verso la certificazione di sostenibilità.

 “Purtroppo il consumatore non coglie la differenza tra sostenibile e non sostenibile. È verissimo che l’olio di palma non sostenibile ha avuto un impatto devastante sugli oranghi, ma oggi non possiamo dire che l’olio di palma uccide gli oranghi come sostengono i cospirazionisti, quelli che negano la sostenibilità e usano l’orango come una bandiera. Questo non è vero – ha chiarito Michelle Desilets – Moltissime organizzazioni e ONG che lavorano per salvare gli oranghi promuovono la certificazione dell’olio di palma sostenibile come strategia chiave per la loro conservazione, sulla base di dati scientifici. Il panel di scienziati con il quale collaboriamo sul campo, in particolare nel Borneo, ha dimostrato che la diminuzione degli orangutan può essere controbilanciata proprio dallo sviluppo di una supply chain certificata secondo gli standard RSPO, un’organizzazione multi-stakeholder che cerca di definire gli standard sulla base di un consensus. La nostra ONG è stata direttamente coinvolta nelle ultime due revisioni degli standard RSPO e partecipiamo attivamente anche a quella attualmente in corso. Occorre lavorare sulla supply chain tutti insieme con il supporto della scienza e dalla tecnologia e dobbiamo riuscire a comunicare anche le buone notizie ed i progressi compiuti. Abbiamo l’opportunità di cambiare la forma mentis soprattutto dei più giovani che sono appunto aperti all’innovazione ed al progresso”

 Per una comunicazione efficace sull’olio di palma sostenibile quindi il ruolo delle Ong e delle associazioni della società civile è fondamentale. Purtroppo, nel nostro paese, nel periodo di grande crisi e polemica – ha osservato il Prof. Pratesi – alcune organizzazioni hanno avuto difficoltà a comunicare la propria posizione.

Ne è convinta anche Carlotta Basili, di Amici della Terra Italia, che ha osservato come alcuni ambientalisti hanno assunto posizioni ideologiche o ambigue confondendo l’opinione pubblica promuovendo campagne di boicottaggio indiscriminato contro l’olio di palma che la scienza ha dimostrato essere in realtà controproducenti.

“Amici della Terra, al contrario ha fin da subito avuto un approccio scientifico al problema ed ha assunto l’impopolare posizione di promuovere la certificazione della filiera dell’olio di palma, che ha fatto da apripista e costituisce un esempio virtuoso anche per altri settori – ha commentato Carlotta Basili – Le associazioni ambientaliste in Italia dovrebbero fare corretta informazione con una comunicazione efficace e trasparente basata su dati scientifici. Dobbiamo impegnarci a spiegare all’opinione pubblica ed alle aziende italiane perché l’olio di palma sostenibile è l’alternativa migliore all’olio di palma convenzionale e incentivare tutta la filiera a certificarsi.”

 Le ong sono un elemento fondamentale e necessario anche nel dialogo con i consumatori che purtroppo faticano a cambiare idea e spesso tendono a dare credito alle fake news, ma che in questo momento sembrano, almeno nelle fasce di età più giovani, maggiormente disposti a ricevere informazioni diverse.

Anche secondo Tiziana Toto, Responsabile delle Politiche del consumatore di Cittadinanzattiva, il consumatore oggi ha maggiore consapevolezza e sensibilità verso alcune tematiche e quindi tende a compiere scelte di consumo più responsabili e sostenibili.

“Le leve principali di questi cambiamenti in questo momento sono proprio i più giovani. Sono loro i vettori dell’innovazione e del cambiamento è molto difficile far cambiare abitudini a una classe di popolazione che ormai ha degli atteggiamenti e degli approcci che sono stati sedimentati nel corso degli anni e certamente non aiuta neanche la bassa qualità dell’informazione oggi disponibile in rete – ha osservato Tiziana Toto – Nel caso dell’olio di palma abbiamo subito un fuoco incrociato di informazioni scorrette e la riabilitazione richiede dei tempi lunghi. Il termine sostenibilità viene utilizzato con una certa leggerezza, in sé non significa nulla se dietro non c’è effettivamente un sistema di certificazione a sua volta percepito come elemento di garanzia in virtù di un sistema di controllo. Comunicare al consumatore finale non è semplice. Occorre una informazione più approfondita e sicuramente anche una formazione che deve partire anche dalle scuole ed il coinvolgimento della società civile. Realtà associative come la nostra possono essere comunque dei veicoli importanti per comunicare e sensibilizzare il consumatore e orientare il mercato verso una maggiore sostenibilità.”

 

Possiamo concludere che le certificazioni si confermano necessarie e funzionali al processo di trasformazione sostenibile dell’olio di palma. Potrebbe essere valutata l’opportunità di ridurre i tempi tra una revisione dei criteri e l’altra per guadagnare più flessibilità e adattare gli standard alle mutevoli esigenze, anche per renderli sempre più affidabili agli occhi dei consumatori – ha commentato Mauro Fontana nelle sue conclusioni – In relazione alla comunicazione oggi sono emerse evidenti criticità, prima fra tutte il fatto che nonostante 10 anni di dibattiti circa il 50% dell’opinione pubblica ancora non conosce l’olio di palma sostenibile. Questo ci dimostra che dobbiamo comunicare di più e in modo da raggiungere tutti gli stakeholder”.

 

Ricordando i temi affrontati nel corso dell’incontro del 5 ottobre – nutrizione sostenibile e deforestazione – il Presidente dell’Unione italiana per l’Olio di Palma Sostenibile ha chiuso i lavori sottolineando l’urgente necessità di trovare soluzioni per garantire contemporaneamente food security e sostenibilità, trovando un equilibrio tra necessità di aumentare la produzione delle materie prime e lotta alla deforestazione e ai cambiamenti climatici. Nel condividere l’obiettivo di ridurre la deforestazione importata perseguito dall’Unione europea con la proposta di regolamento sui prodotti deforestation free Fontana ha osservato che “è necessario evitare che l’introduzione di norme stringenti a livello comunitario, dove il 93% dell’olio di palma utilizzato è certificato sostenibile, devii i flussi di olio di palma convenzionale verso altri mercati, rallentando il processo di transizione verso l’olio di palma sostenibile a livello mondiale.”

 

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Rassegna Stampa

Certificazioni e comunicazione, come raccontare l’olio di palma